Si fa presto a dire basta al consumismo. Ma cosa significa nel concreto? Come fare a cambiare comportamenti dopo anni di martellamenti che avevano creato il mito del consumo fine a se stesso? In tempi di crisi chiunque abbia buon senso non può che spendere con più oculatezza i pochi euro disponibili nei bilanci delle famiglie. E d’altra parte la difficoltà con cui prestano denaro banche o finanziarie (salvo quelle con tassi che rasentano l'usura...) non favorisce certo le spese allegre degli italiani che, al pari nei nostri politici, si sono indebitati negli anni quando “consumare” era la parola d’ordine con cui qualcuno sperava di allontanare la recessione.
La caduta dei consumi è sotto gli occhi di tutti, a partire da quella per i prodotti alimentari fino a quella per la casa, da sempre motore principe (anche se drogato) della nostra economia. Ma il risultato è più frutto di necessità, che non di scelte meditate. La situazione è talmente cambiata che alcune
associazioni indipendenti di consumatori (ma quante sono?) si sono rivolte al ministro dello Sviluppo economico per sollecitare una serie di iniziative con cui, in pratica, il Governo dovrebbe facilitare acquisti più ragionati e prezzi più equi. Per avere un salto di qualità, che valorizzi il potere di acquisto degli italiani e rimetta magari in moto l’economia, occorrerebbero però interventi decisi e davvero super partes che francamente non sappiamo se sarà possibile avere.
Alcuni esempi per tutti, le assicurazioni più care d’Europa sono in Italia, ma di fatto non facciamo nulla per favorire la concorrenza e subiamo i cartelli delle compagnie. Né più né meno di quanto accade con le tariffe dei traghetti per la Sardegna gestiti a livello di monopolio. Ci lamentiamo in continuazione delle frodi alimentari, ma non ci muoviamo sul piano della tracciabilità e delle etichette chiare. Per non parlare del fatto che il Governo non fa azioni promozionali per spiegare che se si vogliono consumare prodotti alimentari “buoni” e italiani, questi non possono non avere dei prezzi base minimi legati agli effettivi costi di produzione. Un conto è fare olio extravergine d’oliva raccogliendo le olive a mano o in maniera corretta, un altro rettificare nelle industrie masse di prodotto che non andrebbe bene nemmeno come olio lampante.
E che dire di uno Stato che dovrebbe tutelare i consumatori e invece è il primo biscazziere e lucra sulla piaga dei videogiochi o del fumo? Un po’ di cose si potrebbero fare. Magari prendendo esempio da quanto si fa in Germania per tutelare sul serio i consumatori. Ma davvero qualcuno è disposto a cambiare?