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Quote latte, calcoli delle multe errati? 2,4 miliardi tornerebbero agli allevatori

Un numero di bovini da latte gonfiato ad hoc dall’agenzia ministeriale Agea al fine di giustificare le sanzioni per lo splafonamento: è l’ultima novità che potrebbe emergere sull’annosa questione delle quote latte

 
18 novembre 2013 | 17:15

Quote latte, calcoli delle multe errati? 2,4 miliardi tornerebbero agli allevatori

Un numero di bovini da latte gonfiato ad hoc dall’agenzia ministeriale Agea al fine di giustificare le sanzioni per lo splafonamento: è l’ultima novità che potrebbe emergere sull’annosa questione delle quote latte

18 novembre 2013 | 17:15
 

È di oggi, 18 novembre, la notizia della negata archiviazione da parte del Gip della Procura di Roma di una denuncia di alcuni allevatori di mucche di Milano nei confronti dell’Agea, l’agenzia ministeriale per le erogazioni in agricoltura. Secondo la magistratura, infatti, l’Agea avrebbe modificato i criteri dell’algoritmo che assegna le quote latte (cioè i limiti alla produzione di latte pattuiti fra i Paesi europei) ai singoli allevatori, aumentando l’età di produzione delle mucche fino a 82 anni. Il rischio è quello prospettato da Luigi Ferrarella sul Corriere della sera, che evidenzia come questo provvedimento avrebbe «gonfiato del 20% il parco bovini da latte italiano», e che il Gip crede che la modifica sia avvenuta «per espressa richiesta dei funzionari di Agea, con l’evidente fine di giustificare il dato in eccesso che aveva determinato le sanzioni».

Roberto Moncalvo«Se veramente i conti sono sbagliati vanno restituiti 2,4 miliardi di euro a tutti gli allevatori che hanno versato multe non dovute e acquistato quote non necessarie». È quanto afferma il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo (nella foto), nel sottolineare che la stragrande maggioranza degli allevatori ha sempre avuto fiducia nello Stato e ha investito risorse per rispettare le regole. «Se emergessero errori, i primi a dover essere tutelati e risarciti devono essere proprio quanti hanno fatto sacrifici credendo nello Stato».

«La questione quote che si trascina da quasi 30 anni - aggiunge il presidente della Coldiretti - rischia però di fare passare sotto silenzio i veri problemi degli allevamenti da latte che sono il prezzo, le contraffazioni e le importazioni anonime. Oggi migliaia di stalle stanno chiudendo perché il prezzo riconosciuto dai trasformatori non riesce neanche a coprire i costi di produzione anche per effetto delle importazioni dall’estero di latte da “spacciare” come italiano».

Come ricorda la Coldiretti, 3 litri di latte a lunga conservazione su 4 vengono dall’estero senza alcuna indicazione in etichetta, come pure la metà delle mozzarelle in vendita in Italia. Negli ultimi tre anni è stato scongiurato il rischio multe per le quote latte perché la produzione nazionale è sempre rimasta sotto il tetto massimo assegnato dall’Unione europea all’Italia, oltre il quale scatta il cosiddetto splafonamento e le sanzioni conseguenti.

La questione quote latte è iniziata 30 anni or sono, nel 1983, con l’assegnazione ad ogni Stato membro dell’Unione di una quota nazionale che poi doveva essere divisa tra i propri produttori. All’Italia fu assegnata una quota molto inferiore al consumo interno di latte. Il 1992 con la legge 468 poi il 2003 con la legge 119 e infine il 2009 con la legge 33, sono le tappe principali del difficile iter legislativo per l’applicazione delle quote latte in Italia. Degli attuali 38mila allevatori oggi in attività nel nostro Paese (erano 120mila nel 1996) sono solo un po’ più un migliaio quelli che devono alle casse dello Stato 1,7 miliardi di euro di multe maturate in questi ultimi anni. Molti allevatori si sono messi in regola in questi ultimi anni, 15mila hanno rateizzato con la legge 119 del 2003, per 350 milioni di euro, mentre altri 220 milioni di “multe” sono stati regolarmente pagati in questi ultimi 12 anni.

Vista l’importanza della questione, che coinvolge migliaia di allevatori italiani, riportiamo qui di seguito l’articolo di Luigi Ferrarella pubblicato sul Corriere della sera.


Per quanti anni una mucca produce latte? Chi risponde circa 8 anni, come i bambini sui libri di scuola, è fuori strada. Perché una mucca può fare latte sino a 82 anni. Parola di un algoritmo dei funzionari dell’Agea, l’Agenzia ministeriale per le erogazioni in agricoltura. Solo che ora questo algoritmo, assurdo ma valevole una montagna di soldi visto che in passato ha gonfiato del 20% il parco bovini da latte italiano, trova una embrionale censura per la prima volta in un provvedimento giudiziario: l’ordinanza con la quale un giudice respinge una richiesta di archiviazione formulata da un pm e ordina alla Procura di indagare i funzionari Agea per l’ipotesi di reato di falso in atto pubblico.

La vicenda delle quote latte si trascina dal 1984 con decine di processi per i più svariati filoni in tutta Italia, al costo di 4 miliardi di euro di sanzioni, di cui circa 1,7 miliardi (si stima) a carico della collettività, secondo una prassi censurata dall’Unione europea che equipara alle vietate sovvenzioni statali i casi nei quali siano appunto le casse dello Stato a far fronte alle multe al posto degli allevatori splafonatori. Le quote sono infatti limiti alla produzione di latte che ogni Paese ha negoziato per evitare che un eccesso di offerta penalizzi la remunerazione degli allevatori: se un produttore sfora la sua quota, o ne trova un altro che abbia prodotto meno e sia dunque disposto a comprare il di più del collega, oppure è obbligato a pagare un prelievo supplementare fortemente disincentivante.

Negli anni, tuttavia, questo mondo produttivo (coccolato a lungo dalla Lega) è stato teatro di ogni genere di trucchi, per lo più ormai prescritti perché antecedenti il 2003/2004. Gli allevatori onesti hanno patito la concorrenza sleale di chi produceva in nero; di chi introduceva in Italia latte straniero contrabbandato per nazionale; e anche di chi riassegnava una parte delle quote italiane a produttori fittizi, riducendo così le quote vere per i produttori seri e spingendoli a sforare e ad accumulare multe.

Sulla scorta di una querela sporta a Roma contro Agea da parte di un gruppo di allevatori milanesi rappresentati dall’avvocato Consuelo Bosisio, la magistratura è stata investita della non corretta quantificazione delle quote latte, e quindi degli errori di calcolo nelle sanzioni inflitte per il superamento teorico della singola quota latte attribuita.

Per giustificare gli errori commessi, e quindi schivare le responsabilità contabili che rischiavano, i funzionari Agea - ricostruisce ora la giudice preliminare romana Giulia Proto - «hanno chiesto la modifica dei criteri di calcolo del numero dei capi potenzialmente da latte. All’inizio l’algoritmo, che si basa sul lavoro della commissione Mariani, prese in considerazione l’età dell’animale tra i 24 mesi e 10 anni di età». Ma «successivamente sono stati modificati i criteri per l’ottenimento dell’algoritmo» e il limite massimo di età «è passato da 120 a 999 mesi (ossia 82 anni di età)!». Il punto esclamativo è del giudice, che sulla base di alcune mail agli atti scrive che «ciò avvenne per espressa richiesta dei funzionari di Agea, con l’evidente fine di giustificare il dato in eccesso che aveva determinato le sanzioni».

Il risultato, indicato sin dal 15 aprile 2010 da un’informativa del colonnello dei carabinieri Marco Paolo Mantile, è che «portando il limite massimo da 120 mesi a 999 mesi, si ha una differenza in aumento di 300.000 capi, pari a oltre il 20% dell’intera popolazione bovina a indirizzo lattifero». Una scoperta politicamente insostenibile nei rapporti con Bruxelles, stando a quello che il 20 luglio 2010 l’allora capo di gabinetto del ministero delle Politiche agricole dirà (non sapendo di essere registrato) al colonnello per provare a convincerlo dell’opportunità di ammorbidire la relazione.

Ora il gip romano scrive che l’algoritmo da 999 mesi, «il cui inserimento è stato fortemente voluto dai funzionari di Agea che non potevano certo ignorare la sua inverosimiglianza, comporta calcoli non rispondenti al vero», inseriti in atti pubblici, «il cui contenuto deve pertanto ritenersi ideologicamente falso». Di qui il no del gip all’archiviazione, e la restituzione degli atti al pm affinché indaghi i funzionari Agea per l’ipotesi di reato di falso in atto pubblico.
Luigi Ferrarella

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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