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Boom delle scuole alberghiere, ma poi che succederà?

di Alberto Lupini
direttore
 
20 ottobre 2014 | 11:00

Boom delle scuole alberghiere, ma poi che succederà?

di Alberto Lupini
direttore
20 ottobre 2014 | 11:00
 

La politica e le istituzioni, nonostante le molte chiacchiere, non fanno nulla per sostenere il settore, ma i giovani italiani sembrano vederci un futuro positivo. Parliamo del mondo della ristorazione, dei bar e dell’ospitalità in genere. Lavori che oggi rappresentano l’obiettivo o il sogno di molti adolescenti, al punto che quasi uno su dieci è iscritto alle scuole alberghiere. Un percorso formativo che ha registrato un boom di iscritti e che si pone (considerando le diverse tipologie esistenti) al secondo posto dopo i licei, col 9,3% del totale delle iscrizioni al primo anno delle scuole secondarie.

Tanto interesse per l’alberghiero dovrebbe generare ottimismo e una conferma per quanti vedono nel turismo e nella filiera agroalimentare una nuova occasione di sviluppo del Paese. Purtroppo occorre usare il condizionale perché abbiamo il timore che dietro la scelta di molti giovani ci sia solo una grande illusione mediatica e non già una garanzia di lavoro e di sviluppo.

Occorre essere chiari finché siamo in tempo: in assenza di una politica che sostenga con decisione il settore, tanto interesse per le scuole alberghiere rischia di diventare un problema di futuri disoccupati e non già un’opportunità. Il fatto è che mentre all’estero per cuochi, camerieri, barman o maitre italiani è facile trovare posti di lavoro interessanti (e spesso ben remunerati), oggi in Italia negli esercizi pubblici e negli alberghi si rimediano al massimo lavori part-time o a tempo determinato.

La causa è in parte da attribuire proprio alle scuole alberghiere che, salvo molti lodevoli casi, hanno perso quella specializzazione che avevano anni fa. Il sistema Italia non ha da tempo investito su questo settore formativo (visto spesso come un ripiego rispetto a scuole più impegnative) al punto che molti dei docenti, anche se bravi, non hanno alcuna esperienza professionale e sono magari ex allievi. Bravi sul piano teorico, ma spesso non in grado di trasferire competenze. Tanto che poi i ragazzi diplomati si devono sobbarcare stage sottopagati (a volte ai limiti dello sfruttamento) per imparare il mestiere. E del resto in tutte le riforme scolastiche finora fatte, l’alberghiero è sempre rimasto un po’ una cenerentola, anche sul piano delle risorse disponibili.

Ma se sul piano scolastico si può rimediare in fretta con riforme ad hoc, quel che manca totalmente è un piano di sviluppo che faccia di bar, alberghi e ristoranti un settore capace di crescere e non solo sopravvivere come capita a molte aziende oggi. Se si pensa di poter sviluppare l’occupazione nel settore si devono fare crescere di dimensione le aziende, garantendo occasioni di riorganizzazione ed efficienza. Si deve in sostanza “credere” in questo mondo e si deve favorire l’ammodernamento e lo sviluppo.

E, soprattutto, si deve cambiare atteggiamento culturale, restituendo dignità e professionalità alle diverse componenti aziendali. Se dovessimo indagare sulle motivazioni di scelta di questa scuola, quasi certamente la risposta di molti giovani sarebbe che vogliono diventare degli chef, quasi che questa sia l’unica professione importante. Troppi MasterChef o Prove del cuoco possono avere portato a credere che tutto si risolva a comandare in cucina. Servono più esempi di professionalità e più modestia. Ma qui il discorso di amplierebbe troppo...

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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21/10/2014 12:09:55
1) Purtroppo è vero...
Sono un docente di scuola alberghiera. Insegno sala-bar e vendita. Ufficialmente la mia materia si chiama sala e vendita: il bar se lo sono scordati. Peraltro anche la cucina è diventata enogastronomia; non basta che sappiano l'enorme campo della gastronomia, qualcuno ha deciso che devono conoscere anche l'enologia. Poi in realtà le ore di lezione sono così poche che i giovani escono dalla scuola con abilità pratiche e conoscenze teoriche molto ridotte. Purtroppo l'articolo riporta cose vere. Lo dico con rabbia e dolore, visto che insegno dal 1986. Il dramma che la colpa non ricade né sui Presidi, né sui docenti, perché hanno talmente stravolto la scuola alberghiera che le garantisco anche il più bravo insegnante o operatore professionale (e ce ne sono molti fortunatamente) non può che ottenere risultati modesti. Non tutto ciò che è stato fatto è negativo; alcune evoluzioni sono state positive, ma altre devastanti. Il grosso problema è che navighiamo a vista. Non si comprende quali siano gli obiettivi finali di un percorso scolastico che nella maggioranza dei casi dura 5 anni. Aggiungo un cosa, che non riguarda direttamente la scuola ma che poi impatta fortemente negli alberghieri (che hanno cambiato anche il nome): i giovani in Italia fino a 18 anni in pratica non possono lavorare. Una cosa gravissima per loro e la nostra società, ma sembra non interessare a nessuno. La legge di apprendistato dice che un apprendista per essere assunto con questa qualifica deve avere 18 anni o un diploma di qualifica professionale (di 3 anni), che non prende quasi più nessuno. In pratica gli studenti dell’alberghiero (come gli altri peraltro) escono dopo 5 anni di scuola che non hanno mai lavorato o quasi. 5 anni a scuola di cucina, sala, ricevimento/accoglienza senza aver sperimentato sul campo cosa vuol dire fare il cuoco, il cameriere, il barista, receptionist o similari. Che non è come vedere i cuochi i televisione! Una volta insegnavi a giovani che durante l’estate facevano esperienze di lavoro. Ora no, solo qualche stage, che non è assolutamente la stessa cosa (se prendi soldi la posizione in azienda cambia completamente dal lavoro gratuito o quasi). I nostri giovani perdono occasioni di crescita professionale e personale (perché il lavoro aiuta a crescere e responsabilizzarsi. Potrei scrivere per ore, ma l’argomento è troppo ampio e complesso. Io non mi ritengo all’altezza di valutare tutta la complessità di queste problematiche, ma vorrei che qualcuno più capace e competente di me le affrontasse, in modo serio.
Oscar Galeazzi



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