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Olio di palma, troppa confusione

di Alberto Lupini
direttore
 
07 settembre 2015 | 10:15

Olio di palma, troppa confusione

di Alberto Lupini
direttore
07 settembre 2015 | 10:15
 

Non c’è che dire, come per gli economisti, anche per i dietologi non si può dire che siano professionisti che dispongano di una scienza esatta. Se in questi giorni il cardiologo Michel de Lorgeril (un’autorità a livello internazionale) ha messo a rumore il mondo accademico contestando gli allarmi sul colesterolo (e l’abuso di statine per combatterlo), in Italia ci stiamo dividendo (secondo uno stile tutto nazionale) in una sorta di guerra di religione sull’uso dell’olio di palma. Un grasso stra-utilizzato in centinaia di prodotti e solo in pochissimi casi indicato come tale in etichetta, dove la dicitura che lo nasconde è troppo spesso “oli vegetali”.

Fino a pochi mesi fa, i nutrizionisti (praticamente tutti) sconsigliavano il consumo di olio di palma (alla base di merendine e Nutella, tanto per capirci). La spiegazione era che, se consumato in elevata quantità come grasso, potrebbe aumentare il rischio di danni cardiovascolari. E questo non per il prodotto in sé (su cui si può discutere) ma perché l’olio utilizzato nei dolci e nei prodotti da forno spesso viene estratto dal frutto con solventi, decolorato, deodorato e infine deacidificato. Come dire che delle eventuali proprietà nutritive presenti nel frutto, in fabbrica ne arrivano davvero poche. È un po’ come se - ci si perdoni il paragone - invece di olio extravergine di oliva puro si utilizzasse un olio lampante (che brucia come petrolio).

Ora però, dopo le prese di posizione della Ferrero in difesa del suo prodotto di punta (la Nutella da tempo non è più fatta con burro di cacao, ma appunto con olio di palma, molto meno costoso), alcuni dietologi hanno cambiato opinione. O la stanno per cambiare. Di nuovi studi non sembra ne siano stati prodotti, ma basta che qualcuno parli ex cathedra... e la discussione si apre.

Siamo contenti che si apra un dibattito serio perché in ballo c’è la salute dei consumatori, ma ci fa un po’ specie che nella discussione siano intervenuti con mano pesante i produttori aderenti ad Aidepi (Associazione di Confindustria delle industrie del dolce e della pasta), che hanno investito 400mila euro per una campagna pubblicitaria sui quotidiani che esalta le qualità di questo olio. Peccato che quei produttori fino a ieri in molti casi ne nascondevano l’utilizzo.

Scontato il diritto di difendere i propri prodotti, ci piacerebbe sapere se oltre a promuovere sul campo l’olio di palma contestato, si impegneranno a renderne evidente in etichetta l’utilizzo. E se magari faranno lo stesso anche per le varietà di grani Ogm che usano per paste a farine, spiegandocene anche in quei casi gli effetti positivi sulla nostra salute. Il libero mercato è un valore, al pari della sicurezza del cibo e della concorrenza onesta con i produttori che utilizzano materie prime di qualità e più costose.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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08/09/2015 17:28:44
1) Acido palmitico
Alberto, al largo da ogni interesse, il gruppo industriale di cui faceva ampio uso per la produzione di un sapone meraviglioso che si autososteneva (Nidra, ex Rumianca, ceduto a multinazionale che ha comperato per godere dei marchi di SIR-Rovelli) anche in periodo di crisi per la sua qualità eccellente rispetto ai saponi da acidi grassi meno nobili, a base stearica. Difatti in US e in Asia la base dei saponi di toilette era analogamente quella palmitica! Durante la crisi investimmo qualche risorsa per installare una linea continua di saponificazione e riprendere attivamente la proposta al mercato sotto gli occhi invidiosi della concorrenza internazionale: x tonnellate al giorno, quotazioni delle materie prime per cosmetica sul mercato internazionale, scalo di approdo e stoccaggio Marsiglia! Se vuoi cerco tutto, ma del palmitico nell'alimentazione non l'ho mai visto anche se mi aspetto che possa essere parte di eccipienti grassi digeribili ed inerti... Siccome costa rispetto ad altri acidi grassi base per la cosmetica, qualcuno forse ha fatto pratiche facili per introdurlo nell'alimentazione! Ma in Italia a chi importa? Io lascerei perdere, altrimenti sarei pronto a farti uno studio ad hoc sulla competitività alimentare, a migliaia di km di distanza dalla aree di produzione! Ciao, forse un po' più di cultura sarebbe utile... ai lettori!
Vincenzo Lo Scalzo
Professionista, consulente free lance
Lo Scalzo Associates snc


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