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Costoletta alla milanese, dalle origini al riconoscimento della De.Co

Le origini della Costoletta alla milanese risalgono al 1134, quando delle cotolette impanate e fritte furono offerte dall’Abate della Basilica di Sant’Ambrogio a Milano. Nel 2008 è diventata ufficialmente una De.Co. Questo piatto sarà il protagonista della nona Giornata mondiale della cucina italiana

di Rosario Scarpato
06 gennaio 2016 | 10:04
Costoletta alla milanese, dalle origini 
al riconoscimento della De.Co
Costoletta alla milanese, dalle origini 
al riconoscimento della De.Co

Costoletta alla milanese, dalle origini al riconoscimento della De.Co

Le origini della Costoletta alla milanese risalgono al 1134, quando delle cotolette impanate e fritte furono offerte dall’Abate della Basilica di Sant’Ambrogio a Milano. Nel 2008 è diventata ufficialmente una De.Co. Questo piatto sarà il protagonista della nona Giornata mondiale della cucina italiana

di Rosario Scarpato
06 gennaio 2016 | 10:04
 

Il prossimo 17 gennaio si celebrerà la Giornata mondiale della cucina italiana, o meglio, la Idic - International day of italian cuisines, giunta alla nona edizione, a dimostrazione della serietà di questo evento. La Idic è la giornata dell’orgoglio culinario italiano, e anche il momento per celebrare i suoi grandi cuochi. Il piatto dell’edizione 2016 è la Costoletta alla milanese, che sarà cucinata in quel giorno, come è ormai tradizione, in centinaia di ristoranti in tutto il mondo, aderenti al circuito Itchefs-Gvci ma non solo.

L’evento centrale si terrà a Milano all’Hotel Lagare. Vi parteciperanno grandi cuochi di Milano, della Lombardia e internazionali, giornalisti e addetti ai lavori che renderanno omaggio a uno dei piatti italiani più famosi nel mondo (e purtroppo anche più taroccato). Durante l’evento ci saranno collegamenti con alcuni ristoranti italiani nel mondo che avranno la costoletta nel menu in quel giorno.



Le origini della Costoletta alla milanese sono radicate in quei Lombolos cum panitio, cotolette impanate e fritte, che furono offerte dall’Abate della Basilica di Sant’Ambrogio a Milano, nel lontano 17 settembre 1134. Ambrogio, Vescovo e Console di Roma, era ed è tutt’ora il Santo Patrono della città, e proprio quel giorno ricorreva la festività di San Satiro, suo fratello. Come riporta Pietro Verri nel suo libro “Storia di Milano”, il piatto apparve nel menu di nove portate di cui era composto il banchetto offerto ai canonici della basilica per l’occasione.
 
Come tecnica culinaria la impanatura o panatura - a base di pane grattugiato, per ottenere fritture dorate e croccanti - ha una lunga storia in Italia, forse anche a causa del mito che circolava nell’antichità intorno all’uso dell’oro in cucina. I medici del Medioevo, ad esempio, convinti che l’oro fosse la migliore medicina contro le malattie cardiache, suggerivano di cospargere i piatti con la polvere di quel metallo prezioso. Un rimedio ridicolmente costoso e ovviamente disponibile solo nelle cucine di re e di pochi fortunati mortali. Tutti gli altri invece si dovevano accontentare solo del colore... dell’oro.

Questa è probabilmente anche una delle ragioni della diffusione della tecnica dell’impanatura. Non a caso, Martino de Rossi, in arte Maestro Martino da Como, il primo “celebrity chef” della storia secondo Wikipedia, si preoccupava del “colorito”, quando forniva chiare istruzioni su come impanare i lombolos, che venivano ancora cucinati allo spiedo. Nel 1492, lo stesso anno in cui Cristoforo Colombo scoprì l’America, il Maestro inserì i lombolos nel suo libro “De Arte Coquinaria”, consigliando di cucinare a fuoco lento la carne, ancora lontana dall’essere chiamata costoletta o cotoletta.
 
Il primo riferimento alla cotelètta, dal dialetto milanese cutelèta, apparve solo nel 1814 nel dizionario dialetto milanese-lingua italiana scritto da Francesco Cherubini e pubblicato dalla famosa Regia Stamperia Imperiale di Milano. Nel dizionario il piatto viene definito cotoletta, ma vi è un ovvio riferimento alla costoletta, perché’ il nome ha una chiara origine francese. Deriva infatti dalla parola côte o côtelette, carne di vitello prelevata dalla costola con l’osso, che in italiano corrisponde a costa, costola o costoletta.
 
Ne è la riprova il fatto che le côtelettes impanate e dorate siano presenti nei libri di cucina francesi dall’inizio del XVIII secolo, compreso il fondamentale “La science du maitre d’hotel” del 1749. Lo storico della cucina Massimo Alberini, ex presidente dell’Accademia della cucina italiana, lo segnalò in un articolo e menzionò che, quando queste côtelettes arrivarono in Italia, all’inizio del XIV secolo, furono chiamate in italiano “Cotolette della Rivoluzione francese”. La cotoletta rivoluzionaria doveva però essere marinata in burro fuso con sale, pepe, chiodi di garofano ed erbe fini e poi passata per farina, uova sbattute e pangrattato, prima di essere fritta. In altre parole, il suo metodo di preparazione (e anche alcuni ingredienti) era abbastanza diverso da quello della primissima ricetta della Costoletta alla Milanese mai pubblicata, che apparve nel 1855 nel libro Gastronomia Moderna, di Giuseppe Sorbiatti.
 
La ricetta si intitolava “Costoline di vitello fritte alla milanese”: le parole Costolina e Costoletta in italiano sono all’incirca la stessa cosa. Il metodo di preparazione di quella ricetta richiedeva che le costolette fossero immerse nelle uova sbattute, ricoperte di pangrattato e fritte nel burro fino a raggiungere la doratura. L’autore suggerisce una frittura a fuoco lento. Utilizza le parole “calor biondo” e “soffriggere a fuoco lento” per dare l’idea di come procedere. Non esisteva ancora il burro chiarificato, che fu poi utilizzato per il suo punto di fumo più alto e perché particolarmente appropriato nella cucina professionale. La ricetta di Sorbiatti suggeriva di servire la carne con lo stesso burro fuso nella quale era stata cotta, con l’aggiunta di fettine di limone.
 
Cotoletta o costoletta? Come abbiamo visto finora, nel caso del dialetto milanese, le parole si riferiscono alla stessa ricetta. È per questo che nei libri di cucina e nella letteratura culinaria è possibile ritrovare entrambi i termini. Ada Boni ne Il Talismano della Felicità e Fernanda Gosetti (In Cucina con Fernanda Gosetti) la chiamano Costoletta. Appare invece come Cotoletta ne La Cucina d’Oro di Giovanni Nuvoletti Perdomini (un altro ex Presidente dell’accademia Italiana della Cucina) e in La cucina nazionale Italiana di Allan Bay e Paola Salvatori.

La food writer Ottorina Perna Bozzi la chiama Costoletta nel suo libro La Lombardia in cucina e Cotoletta in Vecchia Milano in Cucina, un altro dei suoi libri. Per questa ragione, il 17 marzo 2008, la dichiarazione del Comune di Milano della Costoletta alla Milanese come De.Co - Denominazione Comunale ha fatto definitiva chiarezza. Il protocollo della De.Co fornisce anche le linee guida per la preparazione di un’autentica Costoletta alla milanese che per cominciare deve avere uno spessore di 3-4 centimetri.
 
Il termine Costoletta in verità valorizza l’identità del piatto e la sua ricetta originale. Troppo spesso il termine Cotoletta è stato utilizzato per descrivere una preparazione molto più simile a quella del Wiener Schnitzel, che non ha molto a che fare con la Costoletta. Tanto per cominciare la Schnitzel, che è il piatto nazionale austriaco, in italiano dovrebbe essere chiamata semplicemente Scaloppina alla viennese o Fettina impanata. Infatti viene preparata con un differente taglio di carne di vitello (addirittura nel XVIII secolo era più frequente trovarla di maiale che di vitello, in quanto la carne suina era più economica).

Come chiarisce la storica della cucina Silvia Tropea Montagnosi: «La vera cotoletta è una costoletta con l’osso tagliato tra la prima e la sesta costola del lombo di un vitello da latte». Infine, la Schnitzel è molto sottile (un centimetro) e viene battuta con vigore prima di essere cotta, mentre la Costoletta Milanese è spessa ed è solo leggermente battuta. Infine la prelibatezza austriaca era tradizionalmente e ancora è spesso fritta nel grasso di maiale piuttosto che nel burro.
 
È pertanto totalmente irrilevante quale dei due piatti sia stato creato prima e quale abbia influenzato l’altro. Si tratta di inutili dispute fondate su fuorvianti istanze patriottiche. Per non parlare delle fonti inesistenti, come l’impossibile lettera del Maresciallo Radetzky che descrive la scoperta della Costoletta alla Milanese ad un luogotenente mai esistito, Radetzky fu comandante dell’esercito austriaco che invase e dominò il Nord Italia dal 1831 al 1857. I migranti italiani tra il XIX e il XX secolo portarono con sé in giro per il mondo la tradizione italiana della fettina panata o scaloppina alla Viennese. In Argentina, ad esempio, dove era erroneamente chiamata “Milanesa”, presto divenne il piatto nazionale, e ne è stata inventata una variante, definita milanese napolitana (il che è di per sé è una contraddizione), composta da una Schnitzel (preparato con diversi tagli di carne) ricoperta di salsa di pomodoro e formaggio fuso.

Il grande chef contemporaneo Gualtiero Marchesi qualche anno fa sfidò i suoi clienti con una propria versione della Costoletta alla milanese. Senza cambiare il metodo di preparazione, servì la costoletta tagliata in cubetti di carne da 2,5 cm, ciascuno impanato e fritto, e con l’osso ancora con un pezzo di carne. In questo modo, ogni morso è dorato e deliziosamente croccante.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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