Lactalis, c'è l'accordo per il Parmigiano di Nuova Castelli

L’accordo è stato firmato: il colosso francese Lactalis ha acquisito il totale controllo di Nuova Castelli, società emiliana tra i maggiori esportatori italiani formaggi e, in particolare, di Parmigiano Reggiano . L’intesa, annunciata dallo stesso gruppo francese, trasferisce dunque la proprietà dell’azienda emiliana dal fondo inglese Charterhouse

30 maggio 2019 | 12:25
Oltre al Parmigiano Reggiano, Nuova Castelli produce e distribuisce numerosi prodotti della tradizione casearia italiana come la mozzarella di bufala campana e il gorgonzola. Nel 2018 ha realizzato un fatturato di 460 milioni di euro, dei quali circa il 70% grazie all'esportazione.

Il fatturato di Nuova Castelli è di 460 milioni di euro

Lactalis è già presente sul mercato italiano, dove negli anni ha comprato marchi molto famosi come Parmalat, Locatelli, Invernizzi, Galbani e Cadermartori, che lo fanno il terzo detentore delle quote di mercato italiane nel settore lattiero caseario. Un passaggio di consegne nell'aria da qualche giorno (che sarà formalizzato solo dopo le approvazioni delle autorità regolamentali) che manterrà di fatto la Nuova Castelli in mani straniere, ma che ha già suscitato reazioni contrastanti da parte delle organizzazioni di categoria.

Critico il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, secondo cui ci sarebbe addirittura il rischio di un cambiamento degli equilibri di mercato, e del mantenimento della competitività del sistema produttivo nazionale. «Si è trattato - ha detto Prandini - di una vera e propria operazione lampo, messa a segno con la politica “distratta” dal confronto elettorale, che rischia di essere pagata dagli allevatori italiani ai quali la Lactalis ha infatti appena minacciato di ridurre unilateralmente il prezzo del latte alla stalla sottoscritto solo pochi mesi fa, in controtendenza rispetto all’andamento del mercato».

Ettore Prandini

Coldiretti chiede inoltre che siano resi pubblici tutti i termini dell’accordo e che siano pretese “adeguate garanzie sulle produzioni, sulla tutela delle denominazioni dalle imitazioni, sulla difesa dei posti di lavoro e sull’eventuale abuso di posizioni dominanti sul mercato lattiero caseario, strategico per il Made in Italy”.

Altri toni, quelli utilizzati da Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura: «L’acquisizione - dice - riguarda una Dop che ha un rigido disciplinare di produzione, orgoglio del Made in Italy. Accordi come questo rientrano nel normale processo di partecipazione a un mercato unico: già l’attuale proprietà era a capitale straniero e così rimane, pur cambiando bandiera. Insomma, il Parmigiano Reggiano non è in svendita per l’operazione Lactalis. Non esiste il rischio di delocalizzazione poiché il mercato è in mano agli allevatori italiani che hanno i titoli per produrre latte con le regole stabilite dal disciplinare, garanzia di alta qualità e forte legame con il territorio. Un’eventuale delocalizzazione, tra l’altro, farebbe perdere automaticamente il requisito del marchio e il formaggio prodotto non potrebbe più chiamarsi Parmigiano Reggiano».

Massimiliano Giansanti

Di prospettive occupazionali parla invece la Fai Cisl: «Si tratta di una acquisizione che va valutata sul piano delle prospettive industriali e occupazionali e non tramutata in un derby politico - sostiene il segretario generale, Onofrio Rota - ancora una volta la politica italiana si è distinta per saper fare molto rumore e zero fatti, visto che a nulla è servita la levata di scudi contro quella che è stata definita una ‘svendita’ del Parmigiano Reggiano. Come avevamo detto, servono meno slogan allarmistici e più fatti concreti per sostenere il lavoro italiano. Lactalis da parte sua ha fatto sapere di essere pronta a sostenere i prodotti Dop italiani nel mondo. Vigileremo affinché l’impegno venga mantenuto, perché la multinazionale francese investa seriamente nel nostro Paese per creare crescita e occupazione, valorizzare tutti i marchi e siti produttivi, le nostre filiere, aprire nuovi spazi di mercato, rafforzare la competitività del Made in Italy nel mondo».


Onofrio Rota

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