L’olio italiano di qualità va raccontato e fatto assaggiare

A poche settimane dalla prossima frangitura delle olive, cerchiamo di riflettere sul perché in Italia non riusciamo a creare una sinergia per valorizzare i prodotti della nostra terra

08 luglio 2019 | 18:19
di Fausto Borella
Ho sentito alla radio qualche giorno fa che l’Italia detiene il primato europeo di albicocche e pesche con il 43% della produzione. Ma in una delle tante proteste indette dagli olivicoltori delle regioni del sud dello Stivale, si è deciso di regalarle o, peggio, di non raccoglierle più. Costa troppo, ma soprattutto la grande distribuzione preferisce acquistarle a costo irrisorio da altri Paesi. Così anche la Calabria, nella sua zona più ricca, la Sibaritide, con oltre 2.200 ettari di campi, alza le braccia e si arrende. Stesso discorso per i mandarini e le arance che Calabria e Sicilia non riescono più ad esportare perché sono preferite quelli tunisini che hanno costi irrisori.


Ai turisti, soprattutto quelli stranieri, bisogna presentare le nostre eccellenze olearie, raccontarle e farle assaggiare

Perché il consumatore, oramai erudito, attento all’etichetta e sempre più amorevole nei confronti dei bambini, non sceglie un giacimento gastronomico italiano, certificato e che faccia bene alla nostra economia? La risposta è drammatica e al tempo stesso molto semplice. Non si conosce un termine di paragone più buono, più saporito o più profumato. Allora si compra il pollo in vaschetta, l’hamburger di suino per i piccoli, che lo apprezzano tanto con le patate surgelate e la maionese in barattolo. Per non parlare della verdura, che abbiamo in abbondanza e di stagione, ma che per praticità si compra nei sacchetti, usando un olio per condire proveniente dalla più lontana comunità europea esistente.

Si dovrebbe avere un termine di paragone lì, in quel momento: frutto buono contro frutto annacquato, pomodoro dolce e succoso contro pomodoro acquoso, e soprattutto olio evo vero, artigianale e ben fatto contro olio proveniente da zona incerta e lavorato male.

Da cinque anni, a luglio mi diverto a raccontare a migliaia di stranieri che passano a “Else” (Extra Lucca Summer Edition), sotto il Loggiato Pretorio, quale olio portarsi a casa. Provengono dai 52 Stati americani, ma anche Francia, Inghilterra, Belgio, Olanda, Germania, ecc. Quest’anno tanti Russi e Polacchi.

Il primo olio che sottopongo al loro giudizio è quello del supermercato, che al litro costerebbe 7-8 euro, ma con i super sconti di fine stagione, i saldi estivi e le scorte di magazzino da fare fuori, si arriva a pagare un bel litro di olio anonimo anche meno di 3 euro. Lì per lì, una volta annusato, ti guardano e ti dicono “it’s good”, pensando di aver indovinato. Poi, piano piano, insieme al team dell’Accademia Maestrod’olio, faccio scoprire loro gli oltre 40 oli presenti, delle 22 aziende aderenti all’esperimento. Bene, le loro facce diventano come quelle dei bambini quando vedono per la prima volta un film di Walt Disney.

I numeri dell’ultima manifestazione sono stati incredibili, inaspettati: in 38 giorni sono state vendute circa 1.650 bottiglie di olio extravergine, 140 creme di nocciola all’olio evo e dozzine di confezioni di olio da 2 o 3 monocultivar in scatole eleganti e a portata di trolley per il viaggio di ritorno a casa in aereo, nell’impazienza di poter finalmente riaprire quelle gocce di condimento così profumate che tanto gli erano piaciute in quella bella città della Toscana che si chiama Lucca.

Qual è la morale che mi piacerebbe lasciare questa volta? Se davvero amiamo il nostro splendido Paese - e non può essere altrimenti - allora assaggiamo i nostri prodotti e continuiamo a dare lunga vita a quei produttori, artigiani della terra, contadini e olivicoltori che vogliono solo vedere realizzarsi due cose: la dignità salariale e la soddisfazione di sentirsi dire che il loro prodotto, qualunque esso sia, è eccezionale.

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Alberto Lupini


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