Oxologia, questa sconosciuta L’arte dell’aceto balsamico

L’oxologo è il tecnico che controlla la lavorazione dell’aceto balsamico, dalla cottura del mosto fino all’imbottigliamento. Il prodotto migliore sul mercato è quello definito “Tradizionale”

18 luglio 2020 | 18:51
di Roberto Vitali
Oxologia è un termine poco conosciuto. È la scienza che si occupa dell’aceto balsamico: oxologo è il tecnico, enologo o semplice appassionato, che si impegna a seguire il paziente lavoro che porta ad avere gli eccezionali aromi e gusti dell’aceto balsamico. I migliori sul mercato - attenzione - devono avere aggiunto in etichetta l’aggettivo “Tradizionale”. Di questo aggettivo, che qualifica la qualità dell’aceto balsamico, possono fregiarsi solo le province di Modena e Reggio Emilia, dove l’aceto balsamico è nato e dove soltanto si può produrre quello “Tradizionale”.


Aceto balsamico

Prodotto fra i più apprezzati - e sovente anche imitati - della cucina italiana, dal 2000 è tutelato dal marchio di Denominazione di origine protetta (Dop) in due differenti denominazioni: Aceto Balsamico Tradizionale di Modena (Abtm) e Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia (Abtre). Il processo di trasformazione dei mosti può avvenire solo nelle condizioni ambientali e climatiche tipiche dei sottotetti delle vecchie abitazioni e solo nel territorio delle due province emiliane, caratterizzato da inverni rigidi e estati calde e ventilate. Per queste ragioni non può essere ottenuto con lavorazioni su larga scala: la produzione è molto limitata e il prezzo piuttosto elevato.



Il tempo necessario varia da un minimo di 12 anni e può andare avanti all’infinito, ma 25 anni bastano per un prodotto eccezionale. Sono necessarie batterie di piccole botti in legno: i più usati sono castagno, rovere, gelso, ciliegio, ginepro, frassino e robinia. Ora che l’estate sta esplodendo e sulla tavola arrivano in abbondanza frutta e verdura, ecco l’occasione per impreziosire l’assaggio con poche gocce di aceto balsamico, ma - mi raccomando - che sia “Tradizionale”.

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Alberto Lupini


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