Pastificio Mancini Un viaggio italiano dal grano alla pasta

Nell’entroterra fermano si nasconde un’eccellenza agroalimentare che passo dopo passo (un cammino che dura da 15 anni) sta riportando il consumatore all’amore per il gusto artigianale del prodotto

02 luglio 2018 | 15:25
di Marco Di Giovanni
Oltre i campi di girasoli e di trifogli, si entra nella giovane realtà del Pastificio Mancini.


Pastificio Mancini, la squadra

Prima di incontrare Massimo Mancini, titolare di questa azienda, così innamorato, fedele e leale nei confronti della sua terra, scopriamo che il Pastificio fermano è l’unico in Italia ad essere "pastificio agricolo", vale a dire l'unico che coltiva i propri grani e trasforma questi - e solo questi! - ultimi in pasta.


Massimo Mancini

Pasta artigianale vs Pasta industriale
Prima di scoprire tutti i processi che stanno alla base dell’attività artigianale dell’azienda, Massimo ci propone un’intrigante degustazione: tre diverse tipologie di pasta, una industriale, un’altra artigianale - dei cui produttori, lo stesso Massimo ci dice di provare molta stima - e infine quella del Pastificio Mancini.

Le differenze sono evidenti tra la prima e le altre due. Innanzitutto il colore: la pasta industriale, ci racconta Massimo, viene sottoposta ad essiccazione per breve tempo (circa 3 ore, rispetto ai lassi di tempo decisamente più consistenti della pasta artigianale, che oscillano tra le 24 e le 44 ore) ma ad una temperatura più alta (80°C contro i 40-44°C circa della pasta artigianale) capace quest’ultima di donare al prodotto quel colore giallo intenso che, secondo il marketing, è tra gli indici più rilevanti per persuadere il consumatore a comprare.


I tre diversi tipi di pasta (cruda)

Un’altra differenza sta al tatto: se la pasta industriale si presenta liscia (causa la trafila di un materiale molto simile alla plastica che viene utilizzato per dare la forma della pasta scelta), quella artigianale si presenta più ruvida (la trafila utilizzata dal Pastificio Mancini è in bronzo).

E ancora, la pasta Mancini o comunque quella artigianale «ha un sapore completamente diverso», spiega Massimo, specificando quanto sia importante per comprendere questa differenza assaggiare i due diversi prodotti preparati e serviti solo con dell’olio extravergine d’oliva; «ha poi una diversa consistenza, una differente carnosità e, grazie alla sua ruvidità, ha la capacità di trattenere maggiormente il sugo». Sì, perché non bisogna mai dimenticare che è il sugo ad essere condimento della pasta, e non viceversa.


I tre diversi tipi di pasta (cotta)

Come fare un buon grano
Come abbiamo detto, il Pastificio Mancini è l’unico in Italia a produrre pasta a partire dal proprio grano. Questo ovviamente non toglie valore, ci spiega Massimo, ai prodotti di quei pastifici che comprano grano anche dall’estero. Infatti l’altra pasta artigianale degustata è prodotta con grani canadesi e americani, ma comunque il risultato è eccellente. La questione è un’altra: è il controllo di tutta la filiera, è la volontà di metter mano e filosofia di conseguenza su ogni fase del lungo procedimento che porta alla nascita della pasta, esattamente come fosse una bottiglia di vino.


I campi del Pastificio Mancini

Ma quali sono gli elementi essenziali perché si possa parlare di una pasta davvero made in Italy?
1. Le condizioni ambientali: la coltivazione del grano in Italia ha come territori d’eccellenza la Sicilia, la Puglia e, appunto, le Marche.
2. Le varietà: esistono molte varietà di grano, esattamente come è per il vino. «Noi - specifica subito Massimo - abbiamo individuato le varietà che sono più adatte ai nostri terreni» (sulle varietà coltivate dal Pastificio Mancini, un capitolo ad hoc più avanti).
3. La lavorazione: «La varietà può essere anche giusta, ma tutto dipende da come tu la coltivi». È chiaro quello che spiega Massimo: un buon grano è il punto di partenza, ma per arrivare ad ottenere un buon prodotto finale non si può prescindere dalle attenzioni e dalle cure che l’artigiano gli presta.


Il grano

È necessario però aggiungere un ulteriore punto a questi tre già elencati, per contestualizzare la produzione del grano nel mercato di oggi. Per quei coltivatori, infatti, che producono esclusivamente grano (gli stessi produttori che poi lo venderanno ai pastifici) il mercato si presenta come un terreno oltre che insidioso: in parole povere, il prezzo di vendita del grano si aggira intorno ai 20 euro a quintale, quando i costi di produzione ammontano a circa 22-23 euro al quintale. Ora, «l’agricoltore che sta dall’altra parte della collina, per quanto bravo possa essere, capisco possa non essere più interessato alla qualità quando i guadagni dal mercato non coprono i costi necessari per la lavorazione e la produzione della materia prima».

Massimo Mancini
Capiamo già da queste parole che “tipo” è Massimo: giovane nello spirito ma esperto nella mente e nelle mani, simpatico, alla mano, devoto ai suoi campi e ai suoi prodotti, disponibile e aperto, verso le persone così come verso le innovazioni.
È cresciuto in una famiglia dedita alla lavorazione di grano, intraprende egli stesso quella strada laureandosi inizialmente in Agraria e concludendo i suoi studi universitari con una tesi proprio incentrata attorno alla pasta. Diventa direttore marketing di un grande pastificio e proprio durante quest’esperienza impara una grande verità: «Il giallo della pasta dev’essere il giallo del grano. Le grandi aziende invece investono ingenti quantità di denaro per far sì che la pasta sia di quel giallo acceso capace di persuadere il cliente all’acquisto».


Massimo Mancini con il padre

Massimo non crede nei valori del marketing esclusivamente volto alla vendita del prodotto. Crede nei valori della terra, del suo grano.

Il pastificio
Usciti dal pastificio, ci avventuriamo per le sue immense distese di grano. Si parla di 550 ettari, di cui 70 di proprietà e i rimanenti in affitto. Ce ne indica alcuni Massimo, nella cui perfezione il nostro sguardo di perde, concentrato ad ammirare la bellezza e la simmetria che la natura, toccata dalla mano amorevole dell’uomo, può regalare.


Una panoramica del Pastificio

Tra un campo di proprietà e l’altro ne intravediamo alcuni più trascurati, come fossero a chiazze: «Un fenomeno del genere - spiega Massimo - si verifica quando lo scopo dell’agricoltore è fare solo quantità». Come fossero vigneti ad alta densità d’impianto, questi campi hanno piante coltivate molto vicine fra loro, per di più concimate in maniera eccessiva per crescere più alte. «Poi, appena il vento soffia più forte o si verifica un temporale come accade spesso di questi tempi, le piante cedono e si piegano su loro stesse, “regalando” poi questi campi che appaiono come a macchie».

Nei campi di Massimo vige ferrea la “regola” della rotazione triennale: al grano si alternano girasoli o trifogli, tutte coltivazioni capaci di ridare vitalità nutrizionale al terreno, tolta invece dal grano che per natura lo sfrutta.

Le varietà
Arriviamo in un piccolo campo suddiviso chiaramente a seconda delle varietà coltivate. È qui che Massimo ci elenca i diversi grani coltivati:
1. Levante, varietà tardiva, viene coltivato con esposizione a Nord, «perché resiste di più al freddo»
2. Maestà, varietà precoce, viene coltivato con esposizione a Sud, «dove si esprime al meglio»
3. Nazareno, una via di mezzo tra Levante e Maestà.


Le varietà

Ma non si fermano qui le varietà del Pastificio Mancini: tante ad esempio sono in fase di “realizzazione”. Ci rivolgiamo ad una mia carissima amica, Oriana Porfiri, un vero genio nel mondo del grano, che qui vicino ha una serra nella quale combina diverse varietà per dar vita ad incroci che possano portare a prodotti finali diversi. Un esempio di queste combinazioni è il Nonno Mariano, che Massimo ha voluto dedicare, appunto, al nonno.

Grani antichi
Anche i grani antichi trovano spazio nelle coltivazioni del Pastificio Mancini. Ma attenzione, Massimo chiarisce subito i pro e i contro di questa produzione. «Io credo nei grani antichi, presentano indubbiamente dei vantaggi come il basso contenuto di glutine. Ma allo stesso tempo hanno delle caratteristiche negative, specialmente nella fase di coltivazione». Sono infatti piante alte che, come nel caso precedentemente citato, rischiano di cadere a causa di intemperie.



Bio
Massimo, che ci tiene a chiarire ogni sua scelta in fase di coltivazione, spiega anche perché i prodotti Mancini non si fregino dell’ormai tanto osannata sigla “Bio”. «Noi non siamo bio, ma sempre più sostenibili». Questo perché in alcuni casi viene utilizzata una componente chimica capace di preservare le piante di grano da eventuali malattie che, nella lavorazione della pasta, potrebbero rendere il prodotto finale tossico. Tuttavia, questa componente chimica è utilizzata a 20-30 grammi per ettaro, una dose davvero infinitesimale, che scompare poi nel prodotto finale.

Dal grano alla pasta
Per capire il lavoro che c’è dietro alla pasta, è necessario seguirne tutta la produzione. Una produzione che molti colleghi hanno definito davvero avvincente, e in effetti non sbagliano.

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La raccolta e la conservazione
I grani, una volta pronti, vengono trebbiati (le varietà sono trebbiate sempre separatamente), trasportati poi in una grande stanza e ammassati al di sopra di un pavimento dal quale viene alzata aria fredda ad una temperatura di 12°C per preservare la materia prima. Questo processo di conservazione per raffreddamento continua per circa 2 mesi, fino a quando il grano non raggiunge la temperatura di -18°C (un bel salto rispetto ai 35°C, temperatura del grano al momento della raccolta).
Ogni settimana vengono prelevate in tutto 40 tonnellate (sulle 1.600 di produzione totale annua) di grano dalle quali verranno poi prodotte 30 tonnellate di semola.

La pulizia
La stessa semola viene raccolta in due contenitori, ognuno con una capacità di 18 tonnellate, solo dopo aver affrontato due ulteriori (e fondamentali) passaggi: un primo sistema di sicurezza toglie le impurità mentre un secondo sistema, attraverso una veloce rotazione, rompe le uova dei cosiddetti insetti del grano (o Calandra del grano).

La trasformazione
A questo punto la semola è pronta per la trasformazione: entrata nella stanza di lavorazione all’interno del Pastificio, viene impastata e passata attraverso la trafila di bronzo scelta, così da assumere la forma della pasta alla quale era destinata. A questo punto viene portata in una prima stanza dove rimane ad una temperatura di 44°C per 1 ora, poi spostata in un’altra cella dove viene fatta essiccare a una temperatura uguale per una durata diversa a seconda del tipo di pasta (gli spaghetti più fini restano per circa 40 ore, quelli più spessi arrivano fino a 44; le paste simili alle mezze maniche o ai paccheri, quindi paste bucate, rimangono nella stanza di essiccazione, invece, per circa 24 ore. Tutte queste fasi avvengono in assenza di finestre, così da avere sempre temperatura e umidità sotto controllo.

Il Packaging
Le confezioni di Pasta Mancini sono cambiate nel corso del tempo. Inizialmente, ci racconta Massimo, «avevamo scelto un packaging troppo elegante, e andava a finire che il nostro prodotto era esposto in vetrina ma non venduto sugli scaffali. Poi abbiamo scelto un altro packaging, ma non ci ha soddisfatti. L’ultimo è il nostro successo, l’ha scelto mia moglie: il marrone rimanda ad un colore dal quale non ci siamo mai voluti separare, e l’arancione è il nostro tratto distintivo».


Il packaging

Progetti futuri
Massimo Mancini è soddisfatto. La sua pasta ora è protagonista in tanti ristoranti, da quelli locali ai grandi stellati in giro per l’Italia (come Piazza Duomo di Enrico Crippa, 3 stelle Michelin) e per il mondo (da Umberto Bombana, nel suo ristorante tristellato Otto e Mezzo). È esportata in mercati come Spagna, Germania, Francia e Inghilterra o, fuori Europa, in Giappone e negli Usa. Sempre più apprezzata anche dal consumatore che, dopo essersi fatto conquistare dal packaging distintivo, non ha più alcun bisogno di una particolare confezione, sapendo di scegliere gusto e qualità.



Intanto, ogni anno, gli ettari di proprietà e in affitto aumentano: Massimo vuole cresce, non tanto da arrivare a produrre pasta in quantità (o peggio, in qualità) industriale, ma abbastanza da raggiungere la massima possibilità di lavorazione permessa dal pastificio. Pastificio che per di più proprio in questo periodo sta venendo ampliato.

Le prospettive del Pastificio Mancini sono tante e promettono bene. E saperlo guidato da persone come Massimo e i suoi ragazzi (tutti sotto i 32 anni, agronomo compreso), disponibili e impegnate, sorridenti e appassionate, indubbiamente è elemento che dà ulteriore forza alla promessa di questa pasta che racchiude in sé tutta la verità del Made in Italy.

Per informazioni: www.pastamancini.com

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Alberto Lupini


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