La Confraternita dell’ossobuco riporta a Milano i sapori della tradizione

05 ottobre 2015 | 16:18
di Matteo Scibilia
La cucina è espressione di un territorio, anzi incorpora una nazione, basti pensare agli spaghetti con il pomodoro, piatto simbolo della gastronomia italiana, ma che inevitabilmente ci porta con il pomodoro alla scoperta dell’America, ma con gli spaghetti anche alla Cina. Quindi quasi tutto il pianeta. Milano e la Lombardia sono terre di conquiste, di eserciti e di popoli, che in ogni caso hanno lasciato tracce di cultura, di arte ma anche di cibo. La michetta, la costoletta alla milanese, lo zafferano, i mondeghili, tracce di Spagna, di Austria, di Francia, per non parlare degli antichi romani, per esempio con la luganega, oggi simbolo di un piatto monzese, il risotto alla monzese, ma che testimonia il collegamento che gli antichi romani avevano con la Lucania, terra da cui proveniva la salsiccia, poi sopranominata appunto ancora oggi “ Luganega “ dalla Lucania.



Cucina milanese, oggi sicuramente la più globale dell’intero paese, etnie ormai dell’intero pianeta si contendono metri e metri di spazio sia fisico che culturale nel proporre, spesso con successo, aromi e profumi di terre lontane ai milanesi, ai turisti e ai businessman, di cui Milano è ormai piena. Ma la cucina milanese, dove è? È possibile oggi mangiare a Milano i piatti tipici della città? Una costoletta di vitello, un risotto giallo, un rustin negà, i nervetti, la trippa e il foiolo, e altri piatti della tradizione meneghina? In tutta onestà direi “no”! Non è proprio facile nonostante i suoi 4mila ristoranti e oltre, mangiare a Milano i piatti della tradizione. Forse solo in 15 a massimo 20 ristoranti o trattorie qualcosa si trova ancora.

Qualcosa, forse, sta cambiando. Da lunghe chiacchierate con Guido Stecchi, fondatore e presidente dell’Accademia delle 5 T, associazione che ha nella propria mission, appunto la salvaguardia del territorio e della tradizione, insieme a Lino Gagliardi, cuoco e titolare della Antica Osteria Rampina a San Giuliano Milanese, ai confini con Lodi, terra di Furmagiat , cioè di produttori di latte e formaggi, ecco che con i due, è emersa l’idea di far nascere qualcosa che promuovesse e facesse rinascere la cucina milanese e i suoi valori. Uno dei piatti simbolo della stessa, trovabile solo in alcuni ristoranti/trattorie è proprio l’ossobuco, òssbus, in dialetto milanese.

Parla e riparla ed ecco l’idea di far nascere la Confraternita dell’ossobuco, con il chiaro obiettivo dell’inizio di un percorso che tenderà a “risvegliare” cuochi e osti milanesi per una riscoperta della cucina milanese, infatti in anteprima diciamo che una operazione sarà presto fatta con i mondeghili. Lo scorso 21 settembre presso l’Osteria La Rampina, alla presenza di oltre 100 ospiti, tra cui il Maestro Gualtiero Marchesi, è nata ufficialmente la Confraternita dell’ossobuco. La Confraternita è in contatto con un’azienda di posate per creare un cucchiaio capace di inserirsi nel “buco” dell’osso e riuscire a prelevare e degustare quel nettare paradisiaco che è il midollo di Vitello. La ricetta a cui fa riferimento la Confraternita è quella De.Co del Comune di Milano.



Ossobuco con risotto giallo, due classici insieme, un piatto unico, due storie che fanno rivivere la Cucina di Milano. I primi ristoranti fondatori, affiliati alla Confraternita sono: La Rampina a San Giuliano Milanese (Mi), Osteria Buona Condotta a Ornago (Mb), Da Vittorio a Brusaporto (Bg), Sergio Motta a Bellinzago (Mi), Passone a Montevecchia (Lc), Osteria Prassede a Ballabio (Lc), La Tavernetta a Milano, Trattoria Ferrelli a Milano, Masuelli a Milano.

Attraverso Italia a Tavola, la Confraternita comunica che chi volesse, cuoco o ristoratore della Lombardia, aderire alla Confraternita può contattare il sottoscritto Matteo Scibilia: 335 6236819.

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