1° maggio dei lavoratori essenziali
La festa dei lavoratori assume quest'anno un particolare valore. Celebriamo chi è rimasto al fronte per mandare avanti l'Italia alla faccia di furbate e redditi di cittadinanza
01 maggio 2020 | 12:33
di Federico Biffignandi
Medici sempre in prima linea
Anche senza tutele, anche senza diritti, anche senza orari, anche mettendo a repentaglio la propria salute, qualche volta la propria vita, di conseguenza anche la propria famiglia. Ogni lavoro e ogni lavoratore hanno pari dignità, ma il 1° maggio 2020 merita un occhio di riguardo per i medici, gli infermieri, le forze dell’ordine, gli addetti ai lavori della filiera agroalimentare dal contadino al cassiere del supermercato. E si badi bene che non è retorica: se questi avessero incrociato le braccia preoccupandosi (anche comprensibilmente) della propria salute l’Italia sarebbe crollata, definitivamente. E invece l’articolo 1 della nostra Costituzione è diventato ancor più saldo. Senza cadere in quella che davvero sarebbe retorica chiamando tutti quei lavoratori “eroi”, “salvatori”, “martiri”, ma un grazie sentito e doveroso glielo dobbiamo.
Forse, accanto a questo, gli dobbiamo anche qualche scusa perché se è vero che il nostro Belpaese ferito è fondato sul lavoro è anche vero che lo Stato deve garantire che quel lavoro venga svolto in piena sicurezza. E invece forse qualcosa è andato storto, soprattutto all’inizio, e tra medici e infermieri hanno lasciato la pelle sul campo 150 medici e 65 tra operatori sanitari, infermieri e farmacisti. Numeri enormi che vanno sempre tenuti in considerazione a monte di ogni discorso sull’emergenza. Come, va detto, bisogna anche tenere conto del fatto che si poteva fare molto meglio, ma che prevedere una strage del genere prima che si palesasse in tutta la sua gravità era impresa davvero ardua. Però oggi è il momento di fermarsi, una volta di più, per ricordare chi ha resistito come un soldato al fronte, là fuori dalle proprie case, a combattere con dignità e orgoglio.
Anche tornando al lavoro dopo un mese, un anno, 10 anni, dall’inizio della pensione. Alla faccia di furbetti, redditi di cittadinanza, lavori in nero. L’Italia del dopo covid, forse, sarà un po’ più fondata sul lavoro. Quello vero, essenziale, capace di andare oltre a interessi economici, di carriera, di invidie. Il lavoro vero, insomma, quello che manda avanti un Paese anche se in crisi.
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Alberto Lupini