L’arroganza preoccupante del ministro del Lavoro
Il capo politico del Movimento 5 stelle, nonché Ministro e vicepremier, sembra sempre più preoccupato perché il suo alleato Salvini appare più credibile. Ma dovrebbe moderare i toni e le provocazioni sui social
12 novembre 2018 | 16:51
di Alberto Lupini
Luigi Di Maio e Matteo Salvini
Il muso a muso più divertente è stato quello col sindaco di Milano, Giuseppe Sala, che contesta la sua proposta di chiudere i negozi la domenica. Certo il primo cittadino se l’è un po’ cercata dicendo che i negozi, se vogliono, li potrebbero chiudere ad Avellino, dove è nato Di Maio, ma farsi dare del “sindaco fighetto” non poteva essere certo lasciato cadere. E infatti Sala ha twittato al veleno: «Quando il Ministro Di Maio avrà lavorato nella sua vita il 10% di quanto ho fatto io, sarà più titolato a definirmi fighetto». Parole del tipo: il re è nudo...
Un confronto più casalingo Di Maio lo ha invece avuto con i suoi compagni di movimento, il ministro dei Trasporti Toninelli per primo, invitandoli a muoversi con cautela dopo che oltre 30mila torinesi hanno riempito piazza San Carlo all’insegna del sì alla Tav e alle infrastrutture di cui l’Italia ha più che mai urgenza per non scivolare in quella “decrescita (in)felice” che sta a cuore ai grillini. Salvo poi bollare come servi dei poteri forti gli operai e i piccoli borghesi che costituiscono quella maggioranza silenziosa che in nome del buon senso sembra alzare la testa dopo un’ubriacatura di finta rivoluzione giacobina che vuole i collegamenti veloci con l’Europa sulla ghigliottina.
Ma le sparate più stupefacenti, e pericolose, le ha riservate alla categoria dei giornalisti colpevoli, a suo dire, di essersi occupati “troppo” delle vicende della signora Raggi che regge le sorti della capitale europea oggi più degradata a livello di servizi. Certo ci possono essere notizie più importanti delle buche, dei topi o dei pullman che bruciano a Roma. Ma l’on. Di Maio non può pensare che chi scriveva per denunciare gli scandali o gli errori dei sindaci Alemanno o Marino, ora debba chiudere gli occhi di fronte a quelli della giunta pentastellata. E dare delle “puttane” ai giornalisti non è che aiuta quella rinascita morale del Paese che vorrebbero il ministro del (non) Lavoro o il suo “gemello” Di Battista.
Per fortuna non siamo ancora allo Stato illiberale che denuncia l’ex Cavaliere, che pure contro la stampa ne ha dette di tutti i colori. E nemmeno al fascismo che denunciano un giorno sì e l’altro pure gli orfani dell’arrogantello ex Presidente del Consiglio fiorentino. Ma certo questo minacciare sanzioni ai giornali o l’abolizione dell’Ordine dei giornalisti puzza un po’ di ignoranza delle regole minime di una democrazia. Se poi l’informazione che vuole Di Maio è quella del nuovo Tg1 a trazione pentastellata che un giorno riduce il numero dei manifestanti di Torino a favore della Tav e il giorno dopo antepone la “liberazione” della sindaca Raggi dal rischio di condanna alla notizia dello storico raduno di 70 Capi di Stato nel centenario della fine della prima guerra mondiale (causata dai quei nazionalismi su cui oggi soffiano in tanti), forse è il caso di cominciare a preoccuparsi. E se invece Di Maio si preoccupa perché il suo alleato e parigrado Matteo Salvini appare più credibile e più seguito dalla stampa non ha che da contare fino a 5 prima di parlare.
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Alberto Lupini