Costi, clima, guerra: addio a 1 bottiglia di olio extravergine su 3

La diminuzione della produzione nazionale di olive è stimata intorno al 30%. A questo si aggiunge l’esplosione dei costi, dall’energia ai materiali per l’imbottigliamento, con aumenti anche del 50%. Il futuro per l’olio di qualità fatto in Italia è complesso. Come rilanciarsi? Gli esperti dicono facendo cultura e valorizzando il prodotto

13 settembre 2022 | 10:41
di Gianluca Pirovano

Siccità, rincari, guerra: una tempesta perfetta che sta travolgendo l’olio made in Italy. La stima, secondo quanto emerge dal report “2022, la guerra dell’olio made in Italy”, realizzato da Coldiretti e Unaprol, Consorzio olivicolo italiano, è un -30% della produzione a livello nazionale, con gli italiani che rischiano di dover dire addio a una bottiglia su tre di extravergine.

E intanto domani, mercoledì 14 settembre, apre a Roma il primo salone dell'olio extravergine d'oliva, per raccontare un patrimonio di biodioversità, tradizione, legame con il territorio e posti di lavoro, messo però in difficoltà dalle molteplici criticità del panorama nazionale e internazionale. 

 

I motivi del crollo

A pesare sulla produzione nazionale è stata una siccità devastante che ha messo in stress idrico gli uliveti. La raccolta, riferiscono Coldiretti e Unaprol, è partita in Sicilia, con una produzione in netto calo rispetto alla campagna precedente, attestatasi intorno a 330 milioni di chili di olio prodotto. Il calo è diffuso nel Sud Italia, specie nelle regioni più vocate all'olivicoltura come Puglia e Calabria, che da sole rappresentano circa il 70% della produzione olivicola nazionale. Nelle regioni centrali, come Lazio e Toscana, l'andamento è a macchia di leopardo con un leggero rialzo della produzione rispetto all'anno precedente, stimabile tra il 10 e il 20%. Sembra andar meglio invece nel resto d'Italia con il Nord, che segna un aumento produttivo attorno al 40-60% fra Liguria, Lombardia e Veneto.

Il boom dei costi

Con l’esplosione dei costi aumentati in media del 50% nelle aziende olivicole quasi 1 su 10 (9%) lavora in perdita ed è a rischio di chiusura, secondo dati Crea. A pesare, in particolare i rincari diretti e indiretti determinati dall’energia che vanno dal +170% dei concimi al +129% per il gasolio nelle campagne mentre il vetro costa oltre il 30% in più rispetto allo scorso anno, ma si registra anche un incremento del 35% per le etichette, del 45% per il cartone, del 60% per i barattoli di banda stagnata, fino ad arrivare al 70% per la plastica. Olivicoltori e frantoiani sono costretti a fronteggiare l'incremento dell'elettricità, i cui costi sono quintuplicati.

E se i costi crescono mentre scendono i ricavi delle imprese, il carrello della spesa delle famiglie registra aumenti dei prezzi al dettaglio per la maggior parte dei prodotti della tavola con l’olio extravergine d’oliva per il quale sono attesi forti rincari sugli scaffali in autunno con l’arrivo delle nuove produzioni.

Un patrimonio da tutelare

«Occorre intervenire per salvare un patrimonio unico del Paese con 250 milioni di piante che tutelano l’ambiente e la biodiversità ma anche un sistema economico che vale oltre 3 miliardi di euro grazie al lavoro di un sistema di 400mila imprese tra aziende agricole, frantoi e industrie di trasformazione che producono un alimento importante per la salute che non deve mancare dalle tavole degli italiani - afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare - l’obiettivo di rilanciare una produzione nazionale dell’olio d’oliva messa a rischio anche dal Nutriscore sistema di etichettatura fuorviante, discriminatorio ed incompleto che finisce paradossalmente per escludere dalla dieta alimenti sani e naturali come l’olio d’oliva che è uno dei pilastri della Dieta Mediterranea conosciuta in tutto il mondo grazie agli effetti positivi sulla longevità e ai benefici per la salute».

 

 

La battaglia per l’extravergine

«Non è più rinviabile un piano strategico nazionale dell’olivicoltura che metta al centro le aziende che sono sul mercato, producono reddito e occupazione, oltre al recupero dei tanti uliveti abbandonati che devono essere rinnovati per ridare ossigeno e speranze ai territori – spiega il presidente di Unaprol, David Granieri - Dobbiamo proseguire a livello internazionale la battaglia per tutelare la qualità del nostro olio extravergine d’oliva, cercando di cambiare anche alcuni parametri che penalizzano i nostri agricoltori già vessati dal cambiamento climatico e dall’aumento sconsiderato dei costi energetici. Il futuro dell’olio italiano passa da questi interventi fondamentali per tutelare un prodotto simbolo del made in Italy».

L’esempio di Marfuga

In Umbria, una delle regioni italiane a maggior vocazione olivicola, lavora Marfuga, azienda storica, che produce olio addirittura dal 1817. In linea con quanto raccontato dalla Coldiretti, anche Marfuga sta però facendo i conti con le difficoltà di un momento complesso, come confermato dall’amministratore delegato Francesco Gradassi. «Il calo stimato nei nostri oliveti è abbastanza importante – ha spiegato – In alcune zone, che hanno maggiormente risentito del caldo, arriviamo fino al 40%, mentre in altre scendiamo al 30%. Non è purtroppo una novità assoluta, ma una problematica con cui facciamo i conti già dal 2000. Certo, questa estate è stata tra le più siccitose di sempre, come quella del 2003 per esempio. Gli aumenti ci saranno, per forza di cose. Aumenterà l’olio in sé, vista la scarsità di produzione, e sono già aumentati i costi fissi, dalle bottiglie, ai tappi e alle etichette. Per il consumatore l’olio potrebbe aumentare del 10%, nonostante una parte dei rincari la riassorbiremo noi. Preoccupa comunque la possibile reazione del mercato».

A concorrere al calo, per Gradassi, c’è però anche una scelta fatta da molti frantoi, tra cui Marfuga. «Si è scelto di puntare sulla qualità, in alcuni casi estremizzando la scelta – ha aggiunto – Questo significa sì alzare l’asticella, ma anche avere un maggiore scarto di produzione. Detto questo, le piogge cadute in Umbria dopo il 15 di agosto sono state una benedizione per la salute del frutto e ci sono tutti i presupposti, a livello qualitativo, per un’ottima annata».

La cultura dell’olio

In un momento così complesso, i produttori sono obbligati a cercare nuove strade per non soccombere. La parola chiave per Fausto Borella, critico gastronomico, sommelier, degustatore e fondatore dell’Accademia Maestro d’Olio, è una sola: cultura. «È vero quello che dice la Coldiretti – ha spiegato Borella – Il calo della produzione c’è ed è evidente. Ora come ora è difficile stimare quanto potrà costare l’olio. Di certo però ci rimetterà soprattutto che fa olio di qualità».

E cosa si può fare quindi? «Il produttore può fidelizzare il cliente, ma è il consumatore che deve prestare maggiore attenzione – ha aggiunto Borella – I ristoranti straripano di gente che condisce però le cose con olii da quattro euro al litro. Vorrei fare una guida dei ristoranti che hanno un olio schifoso, sarebbe un successo. Serve cercare, vedere come lavorano i produttori e capire che si deve spendere per farsi del bene. Ci sono corsi, possibilità di conoscere. Il consumatore deve leggere le etichette e capire cosa sta ingerendo. E se la diminuzione della produzione e l’aumento dei costi faranno sì che l’olio possa aumentare di qualche euro non deve essere visto come un peccato, a patto che si tratti di olio di qualità».

Valorizzare il prodotto 

Nella già citata Umbria ha casa anche Coricelli, altra storica azienda dell'olio, nata nel 1939 e che esporta in tutto il mondo. Alla guida della realtà spoletina c'è Chiara Coricelli, amministratore delegato. Il suo punto di vista ricalca per certi versi quello di Borella. Conferma i problemi e vede la soluzione in una sempre maggiore valorizzazione del prodotto. «La crisi energetica è soltanto la goccia che ha fatto traboccare il vaso - ha evidenziato - Negli anni il prodotto italiano non è stato valorizzato a dovere. Se l'olio per il consumatore è tutto uguale, come si fa? In un momento come questo, in cui i problemi ci sono, dobbiamo lavorare per svincolare il prodotto dalle dinamiche del prezzo. L'olio, quello italiano, extravergine e di qualità, non è una commodity. Certo, nemmeno un bene di lusso, ma qualcosa a cui va dato il giusto valore». 

Una questione su cui puntare con forza di fronte alle numerose problematiche che già esistono e che cresceranno ancora nei prossimi mesi. Anche perché «è impossibile avere un quadro preciso, ma credo che l'impatto reale sui prezzi di tutte le criticità che colpiscono in questo momento il settore sarà del 30%. È quindi il momento di spiegare al consumatore la differenza che fa un prodotto di qualità. Io, che mi sento in dovere di promuovere un prodotto 100% italiano, credo che l'olio non vada banalizzato». 

 

 

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Alberto Lupini


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