È boom per il gelato artigianale Quello confezionato non più al bar

01 agosto 2017 | 10:01
Il gelato con il bastoncino all'americana, confezionato, che si compra nei bar, dopo un boom durante i passati decenni, perde terreno tra gli italiani, crollando del 39,4% in produzione negli ultimi dieci anni. Il gelato al bar non si compra più. Dalle 65mila tonnellate prodotte in confezioni singole nel 2006, si è passati alle 39mila oggi.



Il gelato confezionato è stato per anni un po' il simbolo della merenda estiva, buona ad ogni ora. Si è cominciato con il mito del Mottarello, e con lui tutti gli altri. Li si compravano nei chioschi in spiaggia, nei baretti sul lungomare, in centro città. Il gelato confezionato è il simbolo di un'epoca, quella del boom economico, quella degli elettrodomestici.

Negli anni '60 i format classici di gelato confezionato: cialda, coppette, biscotto, gelato, granite. Poi spazio ai bon bon e alle torte gelato, fino agli anni 2000, con i mini gelati da conservare nel congelatore solo per occasioni speciali. E la clientela li acquista contenuti nei multipack dei supermercati: +63,6% tra il 2006 e il 2015. È grazie a questi numeri che il gelato confezionato resiste alla crisi, registrando 2,5 miliardi di euro di produzione, con un incremento del 37% rispetto al 2006, secondo i dati Aidepi.

«Ma la verità è si è tornati a consumare moltissimo gelato artigianale - spiega Anna Zinola, docente di psicologia del marketing all’Università di Pavia -, tanto da diventare una sorta di mania estetica: andiamo alla ricerca della nocciola di Alba e del pistacchio di Bronte, quando i più grandi produttori di nocciole sono i turchi che hanno comprato la Pernigotti. C’è un ritorno al localismo e questo ovviamente si ripercuote anche sull’industria del gelato confezionato che o va incontro alle nuove richieste o disinveste».



Tutto il comparto gelato di Nestlè (Motta, Cremeria, Antica Gelateria del Corso) è stato ceduto alla multinazionale Froneri. E nei giorni scorsi i lavoratori dello stabilimento di Parma hanno scioperato per le notizie di dismissioni evocate dai sindacati. Unilever, proprietaria dell’Algida, ha voluto centralizzare ricerca e sviluppo del confezionato in Olanda, dismettendo a fine 2016 l’unità R&D di Caivano, stabilimento dov’è nato il Cornetto e dove ci sono stati 39 esuberi. Ma la multinazionale olandese ha anche acquisito la catena di gelaterie Grom per una cifra stimata intorno ai 40 milioni di euro.

«In Italia ci sono 39mila gelaterie artigianali, in Europa ce ne sono 10mila: questi numeri dicono già tutto - spiega Angelo Trocchia, presidente e amministratore delegato di Unilever Italia -. L’acquisizione di Grom va inserita in questo contesto». L’Italia infatti vanta, sul gelato artigianale, un primato mondiale: ne consumiamo 12 chili l’anno contro i quattro di produzione industriale. Da qui la scelta di Unilever di investire in un marchio come Grom ma anche di reagire ai cambiamenti lanciando il Cornetto veggy, quello senza glutine, il Carte d’Or senza lattosio e provando la fusione tra confezionato e artigianale. Così dopo l’approdo nella grande distribuzione, la multinazionale sta già studiando lo sbarco di Grom nei bar.

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Alberto Lupini


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