Centri commerciali verso il collasso E i clienti dove mangeranno, online?

07 agosto 2017 | 10:24
di Marco Di Giovanni
La realtà dei consumatori, pronta ad un'inversione di rotta. Si pensi a come, per decenni, la tendenza dell'acquisto al dettaglio sia passata dalle botteghe di paese ai grandi centri commerciali, agglomerati di esercizi pubblici, spesso di basso livello, che attraggono clientela in ogni momento della settimana. Ma le cose cambiano, e anche un sistema come quello dei super-market sta entrando in crisi.



Ad averlo predetto sono stati molti economisti, Jeremy Rifkin per primo: sarà una rivoluzione che partirà dalla base, i centri commerciali diverranno tonnellate di cemento mezze svuotate perché l'economia capitalista fondata sul mercato dovrà coesistere con la nascente - e ascendente - sharing economy. Rifkin definisce questa prospettiva come una naturalmente consequenziale «Terza Rivoluzione industriale».

I primi segnali di questa controtendenza sono già tangibili: in America oltre 4mila negozi e grandi magazzini hanno chiuso nel giro di pochi mesi, a cavallo tra l'ultimo scorcio del 2016 e il primo scorcio del 2017, entro fine anno il numero potrebbe salire a 9mila. Il Fort Steuben Mall, nell'Ohio, ha visto il proprio valore precipitare dai 43 ai 7 milioni di dollari in una decina d'anni. In parole povere, un esempio per mostrare l'avviata de-industrializzazione d'America. Un fenomeno che presto arriverà anche in Europa e in Italia.


Jeremy Rifkin

Si tratta di un'inevitabile questione ciclica: il tempo scandisce le fasi, una forma economica prende il via, come è stato per il modello tradizionale della rivoluzione industriale del XX secolo, cresce fino ad ammalarsi, si espande traumatizzata da disparità e squilibri. Per fare qualche esempio, rimanendo sempre sul suolo americano, da gennaio a luglio i licenziamenti nel settore retail sono aumentati del 46,7%, in 15 anni il comparto ha perso un quarto dei suoi dipendenti, il nuovo esercito del lavoro è composto da cassieri e commessi a 25mila dollari lordi l'anno.

Ma se il capitalismo è un padre che sta invecchiando, l'economia dello scambio è il figlio che ne sta raccogliendo il retaggio. Il risultato, fra qualche anno, sempre a parere di Rifkin, sarà un sistema ibrido nel quale "padre" e "figlio" coesisteranno, «le piattaforme digitali si svilupperanno e consentiranno all'economia di scambio di ridurre quasi a zero i costi marginali, l'economia dello scambio crescerà sempre di più ed avrà un rapporto paritario con il suo padre naturale».



Restringendo però la questione, viene spontaneo chiedersi: se i centri commerciali, stracolmi di esercizi pubblici rivolti al settore food & beverage, chiuderanno i battenti, la gente dove andrà a mangiare? Perché i grandi servizi di rete non dispongono di tavolo, sedie e un cordiale servizio in sala atto all'accoglienza. Quando i grandi mall come Oriocenter collasseranno, che ne sarà della spesa dei cittadini? Quale direzione prenderà insomma l'economia di tutti i giorni, quella a cui siamo così tanto abituati e, per quanto riguarda l'uscire a mangiare con amici e parenti, diciamolo, anche piuttosto affezionati?

Perché, se si guarda dall'altra parte, è palese il successo della sharing economy, è chiaro l'espandersi dell'e-commerce, che dall'inizio della recessione del sistema economico attuale ad oggi ha generato come settore ben 355mila posti di lavoro (secondo Michael Mandel). Un esempio concreto? Una job fair per assumere 50mila persone appena tenuta da Amazon.

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