Cibo, da Carosello agli influencer Servono garanzie per i consigli...
10 giugno 2019 | 14:47
di Alberto Lupini
Secondo recenti ricerche, gli italiani in molti casi si fiderebbero più dei suggerimenti colti sulla rete che non di quelli di amici o parenti. Nel campo alimentare saremmo arrivati a scelte che 4 volte su 10 dipendono dal web. E le aziende hanno cavalcato una tendenza che rappresenta ormai più o meno un terzo degli investimenti pubblicitari.
Influencer, un fenomeno in crescita
Quel che sembra convincere molti consumatori a “fidarsi” è il coinvolgimento dei video che, attraverso simulazioni di esperienze, colmano di fatto il vuoto che si è creato in famiglia: non è infatti frequente che un Millennial abbia appreso da genitori o nonni come cucinare e ovviamente cosa comprare. Se MasterChef è la punta di una distorsione del rapporto col cibo, siti e profili sui social potrebbero essere l’alternativa per apprendere, grazie all’interattività che sta alla base di Internet. Ma in verità sono poche le occasioni in cui questa cosa si fa seriamente.
La questione vera è che, a fianco di iniziative serie e utili, ce ne sono molte che sono semplici uffici di rappresentanza di aziende che usano finte massaie per promuovere prodotti puntando sulla presunta “genuinità” di chi spadella davanti a una videocamera o a uno smartphone.
Questa nuova frontiera della pubblicità presenta però molti rischi, perché per sua natura è spesso subdola o celata. La pasta o l’olio che vengono proposti dal piccolo guru della cucina di turno non sono accompagnati da spiegazioni tecniche, né tanto meno sono chiariti i valori (o i limiti) a livello di salute. Pensiamo solo all’incontrollato proliferare di siti che propongono diete miracolose e senza alcun supporto scientifico.
Eppure ci sarebbero sistemi efficaci per sistemare questa situazione. Sull’esempio di quanto si sta facendo negli Stati Uniti va ad esempio introdotto l’obbligo di segnalare quando il “consiglio” avviene dietro pagamento di un’azienda o per accordi con agenzie di comunicazione. Secondo alcune esperienze non verrebbe intaccata la credibilità di influencer seri e preparati. L’hashtag o un bollino servirebbe solo ad avvertire l’utente meno smaliziato che serve un po’ di atteggiamento critico e riflessione. E ciò vale soprattutto quando si parla di cibo, e quindi di salute. Comprare un paio di mutande o una borsa è un’altra cosa.
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Alberto Lupini