Contro il veleno delle fake news l’antidoto di regole certe

I governi di tutto il mondo devono iniziare ad aprire gli occhi sul pericolo delle bufale, fenomeno ormai fuori controllo. La pretesa libertà di cui sarebbe garante la rete è tutta da dimostrare. Ci vogliono delle regole

15 gennaio 2018 | 17:55
di Alberto Lupini
Una rondine non fa primavera. E a maggior ragione non può certo essere la dichiarazione della signora Mariya Gabriel sul “male” che le fake news rappresentano per la democrazia a rassicurare chi vorrebbe un po’ più di garanzie rispetto al far west delle informazioni sul web. Sta di fatto che l’intervento della commissaria Ue sul digitale conferma che finalmente a livello europeo ci si è convinti che «le false informazioni si diffondono ormai ad un ritmo inquietante e minacciano la reputazione dei media, il benessere delle nostre democrazie e i nostri valori democratici».



Un gruppo di lavoro dell’Unione europea ha di fatto cominciato un’attività con lo scopo di elaborare strategie contro un fenomeno sempre più dilagante e che dovrebbe permettere di definire meccanismi per identificare le fake news e limitarne la circolazione. L’obiettivo dichiarato è evitare che la situazione si avveleni ancora di più.

È fondamentale che in Europa si cominci finalmente ad aprire gli occhi sul pericolo delle fake news. Negli Stati Uniti si assiste infatti solo ad una sorta di gioco all’elastico in cui Trump e i democratici si accusano a vicenda di sfruttare politicamente le “bufale”. E il più grande allevamento di queste, Facebook, per parte sua cambia strategia ogni giorno passando dalle dichiarazioni di voler valorizzare il lavoro della stampa seria alle iniziative per imporre balzelli ai giornali che pubblicano news sul social.

Eppure mettere un po’ di regole a garanzia del cittadino sarebbe doveroso. Anche perché la pretesa libertà di cui sarebbe garante la rete è tutta da dimostrare. Per restare nel nostro campo ricordiamo due esempi che sono significativi dei pericoli che si corrono violentando la verità sul web. A fine novembre una blogger 19enne di Porto Recanati è stata denunciata ad Ivrea per istigazione al suicidio e lesioni gravissime perché attraverso il suo sito istigava all’anoressia inducendo le lettrici a seguire diete o ad effettuare particolari terapie per le quali non aveva alcuna competenza. E ancora, in Cina un commerciante ha percorso ben 600 km per picchiare una cliente che si era lamentata in rete della ritardata consegna di un pacco. Un esempio, quest’ultimo, che apre un mondo imprevisto riguardo alle reazioni che l’eccesso di violenza in rete scatena anche in chi si sente colpito da recensioni spesso false o diffamatorie. Pensiamo solo a TripAdvisor...

Per fortuna non tutto il web è malato. Negli States, Paese del consumismo, dello spreco e patria delle fake news è ad esempio nato lo “Zero waste movement” (Movimento rifiuti zero), una comunità di attivisti che attraverso web e social incitano alla riduzione della produzione di rifiuti. Che ci siano influencer, categoria che in genere non apprezziamo, pronti a fare campagne etiche ed utili è uno degli aspetti positivi del web. Peccato che questi episodi rischiano di affogare nel mare di immondizia che circola in rete.

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Alberto Lupini


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