Le divisioni nell’Oltrepò Pavese simbolo di un’agricoltura senza regia

La viticoltura, come tutta l’agricoltura, richiede oggi una guida ferma e idee precise. Speriamo che il nuovo Governo si dimostri attento a questi temi, indispensabili per un nuovo ciclo di sviluppo virtuoso

14 maggio 2018 | 16:10
di Alberto Lupini
Puntare sui Cru (vigneti selezionati e di piccole dimensioni) o sui grandi numeri di bottiglie prodotte? Valorizzare micro-etichette all’insegna della massima distinzione o promuovere il territorio nella sua complessità, affiancando al vino anche altri prodotti? Incentivare colture bio o migliorare le tecniche tradizionali? A giudicare da quanto succede in non poche zone vinicole italiane, questi potrebbero sembrare un po’ temi divisivi fra le cantine. Soprattutto se il confronto pare creare campi contrapposti: cooperative e contadini conferitori da un lato, e privati dall’altro. È da tempo un leitmotiv in Valpolicella per quanto riguarda la produzione di Amarone, ed è ora esploso in tutta la sua drammaticità con la rottura che si è prodotta in Oltrepò Pavese dopo la recentissima nomina di un consiglio di amministrazione del Consorzio, dove molte cantine non si sentono rappresentate. Al punto da uscire dall’ente.


foto: Dino Ferretti, Ansa

In Italia ci sono forse troppe cantine (se ci paragoniamo al resto del mondo) e ciò da sempre genera mentalità e atteggiamenti diversi su cosa sia meglio fare. Il “particularismo” che ci caratterizza fa diventare ogni valle o ogni collinetta diversa dall’appezzamento vicino, e ciò, salvo pochi casi virtuosi, riesce difficilmente a far fare realmente squadra alle cantine per valorizzare denominazioni che a volte sono imbarazzanti per la limitatezza delle bottiglie prodotte. Se poi aggiungiamo che noi abbiamo centinaia fra vitigni e Doc da vendere sui mercati, a differenza della decina di brand che rendono forte l’enologia francese, si può capire perché il mondo del vino italiano non riesca a sfruttare fino in fondo l’enorme salto qualitativo fatto negli ultimi anni.

E tutto questo è aggravato da una mancanza di istituzioni che assistano e governino sul serio questo comparto a livello nazionale. Certo ci sono eccezioni: pensiamo ai casi di successo dei vini altoatesini o al fenomeno del boom internazionale del Prosecco. Ma in questo caso dietro le quinte ci sono la Provincia autonoma di Bolzano e la Regione Veneto che hanno fatto la loro parte a fianco dei produttori...

È in un contesto di un comparto di fatto senza regia (se ne avessimo una, il Vinitaly sarebbe stato da tempo potenziato e portato almeno alla pari dell’efficienza delle altre fiere internazionali del vino, ProWein in testa...) che possono succedere disastri come quello dell’Oltrepò. La terza area vitivinicola italiana per estensione, salvo il miracolo di un sussulto di buon senso da parte di tutti i protagonisti, rischia di avviarsi ad essere senza un controllo e senza garanzie di gestione che coinvolgano tutti i diretti interessati. Per quanto forte possa essere il peso della cooperazione in termini di uve e bottiglie, senza la collaborazione di importanti cantine private (che sono quelle che hanno prevalentemente ridefinito l’immagine di qualità dell’Oltrepò) sarebbe vanificato quanto fatto negli ultimi anni per fare di queste colline un territorio che possa avere quasi lo stesso appeal del Chianti o delle Langhe.

La viticoltura, come tutta l’agricoltura, richiede oggi una guida ferma e idee precise. Speriamo che il nuovo Governo si dimostri attento a questi temi, indispensabili per un nuovo ciclo di sviluppo virtuoso. L’assenza di una regia ha già portato ad esempio al disastro di milioni di ulivi distrutti dalla Xylella in Puglia solo perché chi doveva decidere non ha avuto il coraggio di farlo, fermandosi davanti a stregoni, ignoranti o speculatori...

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