Fra protocolli e politica, il virus si è sviluppato nell'ospedale di Alzano
L'inchiesta della Procura dovrà accertare dove sta la responsabilità di scelte radicalmente diverse da quelle ospedale di Codogno. Da focolaio a incendio che ha devastato la provincia di Bergamo
13 aprile 2020 | 08:25
di Riccardo Nisoli
L'ingresso dell'ospedale di Alzano Lombardo (BG)
«Tutto secondo i protocolli e le linee guida»: si può riassumere così quello che scrive Francesco Locati, direttore generale dell’Asst Bergamo Est, rispondendo a una serie di interrogativi, tuttora aperti, sul tragico focolaio all’ospedale di Alzano. Ed eccola, la sua verità: da quando «si è avuto il rilievo di due positivi» sono stati immediatamente adottati «i protocolli aziendali ovviamente derivanti dalle linee guida riconosciute dalle autorità sanitarie, fino a quel momento».
Affermazioni impegnative, alla luce del risultato. E che dimostrerebbero quanto i protocolli, se è vero che sono stati così scrupolosamente seguiti, fossero inadatti a fronteggiare l’emergenza Covid-19. Ma il punto cruciale è: posto che all’inizio i due pazienti con coronavirus non sono stati individuati (e questo, all’inizio, poteva capitare), cosa è successo dopo che è arrivato l’esito positivo dei tamponi? Si è cercato di arginare l’infezione? Sono stati messi in quarantena i parenti dei pazienti? È stato sanificato l’ospedale? La sanificazione, spiega Locati, è stata fatta «internamente», ma tutto secondo «i protocolli organizzativi». Al di là delle testimonianze che affermano il contrario, e che saranno al vaglio della Procura, balza agli occhi la differenza fra la sanificazione all’ospedale di Codogno (chiuso quattro giorni, con robot manovrati da remoto per spruzzare perossido di idrogeno atomizzato) e quella di Alzano, dove non si specifica nemmeno come sia stata effettuata.
E mentre il direttore medico dell’ospedale Giuseppe Marzulli era per tener chiuso il presidio, la Regione impose di riaprire nonostante parecchi medici, in prima linea, fossero contrari (si sono infettati 479 operatori sanitari in tutta l’Asst Bergamo Est). «Ci mandano al macello», ha detto al Tg1 un camice bianco di Alzano che ha voluto mantenere l’anonimato. La stessa politica dell’armiamoci e partite ha costretto le Rsa a tenere aperti i centri diurni, che alle prime avvisaglie del virus, con buon senso, erano stati chiusi. L’Ats, a epidemia scoppiata, ha ordinato numerose ispezioni per verificare che nessuno chiudesse nulla, pena la perdita dell’accreditamento. «Ci volle coraggio per tenere chiusi i centri diurni», ha detto la direttrice della casa di riposo di Vertova.
Ma non tutti si sono potuti permettere di tener testa a Regione e Ats, come ha fatto Carisma (dove i decessi non sono esplosi), bypassando richieste tanto insensate. E così il virus è entrato nelle case di riposo, mietendo centinaia di vittime (1.100 secondo una stima dei sindacati) fra la popolazione più fragile. Ora quella politica, che non ha protetto i suoi anziani, cerca di proteggere se stessa. La Lega, che ad Alzano ha un feudo importante (non a caso ospita la Bèrghem Fest), ha già provato a proporre lo scudo penale per medici e infermieri — ma, guarda caso, anche per i manager della sanità — contro eventuali inchieste da coronavirus. Matteo Salvini ha dovuto fare marcia indietro, ritirando l’emendamento in fretta e furia sotto una valanga di commenti velenosi. Mai indispettire i social.
Riccardo Nisoli
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