Innovazione, l’Italia rincorre i Paesi Ue «Necessario investire sulle biotecnologie»

L’Italia è uno dei Paesi europei con la minore capacità di creare le condizioni per facilitare la creazione d’innovazione tra le imprese. A rivelarlo è uno studio di Nomisma, di cui si è parlato in un incontro in Senato

20 marzo 2019 | 15:10
Il dibattito è stato organizzato dall'Associazione Luca Coscioni e Science for Democracy con il sostegno di EuropaBio. Secondo una prima ricerca prodotta da Nomisma, emerge che il posizionamento europeo dell’Italia per quel che riguarda la capacità di creare le condizioni per facilitare la creazione e diffusione di innovazione tra le imprese risulti essere spesso molto arretrato. Lo studio dei fattori abilitanti l’innovazione - risorse umane, sistema della ricerca, finanza e supporto, infrastrutture fisiche e digitali - evidenzia infatti come l’Italia sia il fanalino di coda nell’Unione europea per la percentuale di popolazione con un livello di istruzione terziario (25%) - alle spalle della Romania - e rispetto a un valore medio per l’Unione di poco inferiore al 40%.



Il sistema della ricerca italiano deve quindi fare passi in avanti: il numero di co-pubblicazioni scientifiche internazionali per milione di abitanti in Italia risulta essere di circa 552, in Danimarca i valori sono quattro volte superiori. Una delle cause di questo divario è il frutto di limitati investimenti pubblici in Ricerca e Sviluppo pari allo 0,54% del PIL - la media UE è superiore allo 0,7%.

L’innovazione si sviluppa e diffonde più rapidamente se avviene all'interno di un sistema con infrastrutture avanzate e anche qui l’Italia è uno dei fanalini di coda dell’UE in termini di numero di imprese che accedono ad internet con velocità oltre i 30 Mb/s (16%) e in posizione intermedia per quanto riguarda il rapporto tra i km di strade e ferrovie e la superficie totale (in Germania i sistemi di viabilità sono più estesi di circa il 60% rispetto all’Italia).

Marco Cappato

Nell'aprire il dibattito, Marco Cappato, tesoriere dell'Associazione Luca Coscioni, ha ricordato che «da decine di Paesi iniziano ad arrivare studi che confermano la non pericolosità di queste nuove bio-tecnologie verdi, come Crispr, e che le piante così prodotte potrebbero essere portatrici di straordinarie potenzialità per un'agricoltura sempre più eco-sostenibile. Una sostenibilità che unirebbe il rispetto dei diritti umani col progresso tecno-scientifico. Una sostenibilità che andrebbe anche incontro alla biodiversità che l'Onu ci dice esser sotto un grave attacco in tutto il mondo e che consentirebbe un progresso che si potrebbe definire "democratico" perché perseguibile con minori costi rispetto a tecniche e prodotti che si conoscevano solo fino a pochi anni fa. Se la politica però non reagisce, finalmente la scienza inizia a farsi sentire».

Per informazioni: www.associazionelucacoscioni.it

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