«Meglio l'infarto che il Covid-19» Medici allarmati per la psicosi virus

L'accesso in Pronto Soccorso di pazienti infartati cala del 40% al Policlinico Tor Vergata di Roma, non per una diminuzione dei casi, ma perché chi ha sintomi evita di allertare il 112 temendo il contagio . Gli esperti ribadiscono l'importanza di considerare con la stessa cautela ogni patologia. Non si muore solo di coronavirus

22 marzo 2020 | 12:35
Lansia del coronavirus sta pervadendo l’Italia e gli italiani. Da qualche settimana sembra che si possa morire solo a causa del contagio. Tutte le nostre preoccupazioni e i nostri timori e le percezioni che abbiamo delle nostre sensazioni sono rivolte a quello specifico virus. Bene da un lato perché questo ci sta inducendo a rispettare le disposizioni delle istituzioni sul rimanere a casa; bene anche in un altro senso perché in questo modo gli accessi al Pronto Soccorso sono drasticamente diminuiti; ma c’è un lato che va portato alla luce ed è preoccupante: anche chi ha altre patologie o emergenze è restio a rivolgersi al 112 perché ha paura di essere contagiato in ospedale.


Meno accessi al Pronto Soccorso nonostante alcune urgenze

A confermare questa preoccupante tendenza è Francesco Romeo, direttore Uoc Cardiologia e cardiologia interventistica del Policlinico Tor Vergata di Roma che parla di un calo del 40% degli accessi in ospedale per infarto. Quello che sfugge è che si continua a soffrire (e morire) anche di altro e questo è un aspetto da non trascurare. Difendiamoci dal coronavirus ma non che si “preferisca” morire di altro.

«Nell'ultimo mese - spiega Francesco Romeo all’Adnkronos - si sta verificando in Italia un fenomeno preoccupante: un calo degli accessi di pazienti con infarto nei nostri pronto soccorso, pari al 30-40% fra febbraio e marzo. E le persone che arrivano in ospedale, lo fanno tardivamente: anche dopo 5 giorni. Tutti ci dicono che avevano paura di recarsi in pronto soccorso per la paura di essere contagiati dal nuovo coronavirus. Confrontandomi poi con altre realtà in tutta Italia, questo mi è stato confermato e stiamo andando avanti con l'analisi della situazione».

I pazienti non lo negano: «Ero in dubbio se chiamare l'ambulanza o meno, perché andare in ospedale vuol dire rischio Covid», si sentono rispondere i medici. E molti sono anche dubbiosi sui sintomi a volte simili dell'infarto, temendo di essere infettati. «A una paziente che abbiamo trattato qualche sera fa, che avvertiva disturbi respiratori e aveva avuto febbre banale nei giorni passati - racconta il cardiologo - abbiamo comunicato che si trattava di un infarto e lei ci ha risposto “meno male, pensavo fosse coronavirus”. Ecco, si crede che l'infarto sia meno grave della Covid, in questo momento. Ma non bisogna assolutamente abbassare la guardia - ammonisce Romeo - e bisogna sapere che negli ospedali hub ci sono percorsi differenziati, dove i pazienti non si incrociano: un paziente con infarto senza sospetto Covid fa la sua strada, abbiamo due sale su due piani differenti. E tutti gli ospedali si sanno attrezzando in tal modo».

«Si stanno vanificando in queste settimane 20 anni di campagne d'informazione che evidenziavano l'importanza di rivolgersi subito al pronto soccorso in caso di segnali di infarto, come dolore al petto e difficoltà a respirare: eppure, ogni 10 minuti di ritardo nella diagnosi e nel trattamento dell'infarto, la mortalità aumenta del 3%. Se ritardo mezz'ora, quindi, muore il 10% in più dei pazienti», aggiunge.

«Attraverso campagne informative promosse dalla Fondazione italiana cuore e circolazione che presiedo, con la collaborazione della Società italiana di cardiologia (Sic) - ricorda Romeo - sono anni che cerchiamo di sensibilizzare gli italiani sull'importanza di un intervento precoce per ridurre al minimo i danni da infarto. Ad esempio con lo slogan “Ogni minuto conta”, che evidenzia proprio quanto sia prezioso ogni attimo per salvare la vita di chi subisce un infarto. Mentre stiamo vedendo pazienti che si sono tenuti i sintomi anche 5 giorni prima di decidersi a venire in ospedale. Tutto per il timore di essere contagiati dal nuovo coronavirus».

«Noi dobbiamo dire a questi pazienti che non devono avere paura e che devono subito recarsi nei centri di riferimento specializzati che trattano centinaia di casi ogni anno, perché tutti si sono attrezzati con percorsi separati dedicati», garantisce lo specialista. Romeo ricorda quali sono i segnali principali di un attacco di cuore: «Dolore toracico, che qualche volta si può associare a dispnea. Questa è la sintomatologia primordiale, chiamata di “chest discomfort”, che deve allarmare in particolar modo chi è ad alto rischio di infarto, come pazienti con coronaropatia, ipertesi o diabetici».

fonte: Adnkronos

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Alberto Lupini


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