Mezze porzioni, risposta contro lo spreco Tanti assaggi, con un occhio alle calorie

20 ottobre 2016 | 16:50
di Emanuela T. Cavalca
Nostalgia della vita di ballatoio, dove in passato si svolgeva parte della giornata tra panni stesi, il cestino sali-scendi con la spesa e il profumo di minestrone, cucinato con la battuta di lardo. Sarà forse per la presenza dei cellulari, ma abbiamo disimparato a parlare, così oggi sono in tanti a voler scambiare quattro chiacchiere, cercando ambienti raccolti e familiari.


foto: Andrea Martignano

Dinette - Cucina di ringhiera” è il regno della mezza porzione: ci troviamo a Milano, in via Bronzetti: lo spazio è piccolo, con qualche mattone grezzo, volutamente lasciato a vista, pochi tavoli, sedie rustiche, impagliate e lampade vintage dalla luce soffusa e calda. I proprietari, milanesi classe ‘75, sono soci di locali di successo: Luigi Beretta è uno dei proprietari dell’Elettrauto in via Cadore, mentre Filippo Leva è socio dello storico bar sui Navigli, il Tango.

«È un posto casalingo, non impegnativo, senza formalismi, alla portata di tutti - fa notare Luigi Beretta - ricorda gli assaggi che portava il vicino, quand’ero piccolo. Era un modo per legare e stringere amicizia, tipico delle case di ringhiera. Nel nostro locale si possono gustare le “mezze del ballatoio” che consentono di assaggiare diverse specialità, evitando inutili sprechi».

Come usava nelle vecchie trattorie di una volta Dinette è aperto tutto il giorno e serve anche la prima colazione a base di torte fatte in casa. Ci si può fermare a lavorare durante la giornata, pranzare con il menu della schiscetta o prendere un aperitivo con le mezze del ballatoio e un bicchiere di vino per pochi euro.



«A pranzo la clientela proviene soprattutto dagli uffici limitrofi - continua Beretta - la sera i tavoli si riempiono di gente giovane o di chi abita nei palazzi limitrofi, perché magari non ha voglia di mettersi ai fornelli. A volte capita che i commensali di una tavolata o addirittura tra vicini di tavolo si scambino i piatti. Qui non si ha l’impegno di affrontare dosi esagerate: è un mezzo democratico per assaggiare un piatto, fatto bene, dal prezzo contenuto. Non solo, è divertente, perché ci si può permettere di ordinare contemporaneamente differenti ricette. Se consideriamo che un piatto di pasta si aggira intorno ai cento grammi, qui se ne gustano 50».

Come si ottengono le mezze dosi, a occhio? «Semplice, si misura tutto con il bilancino». “Un’altra mezza porzione, abbondante però”: è la frase pronunciata da Nino Manfredi, nel film di Ettore Scola C’eravamo tanto amati degli anni Settanta, non è altro che lo specchio di un’Italia, che sta risalendo la china e sogna piatti strabordanti. Oggi è differente. Il timore che l’ago della bilancia segni qualche chilo di troppo si mescola all’attenzione al portafoglio, ma senza rinunciare a uscire.

Gli esempi delle mezze porzioni stanno dilagando un po’ dovunque, le propone anche il giovane chef Stefano Sforza a Les Petites Madeleines, ristorante torinese di Turin Palace, hotel accanto a Porta Nuova. Un esempio? Una mezza porzione di zuppa, a soli 10 euro.



Martina Lucattelli, titolare dei quattro ristoranti “Gesto” di Perugia (il primo nato), Firenze, Milano (via Sirtori) e Bologna (recente), invece parte da una filosofia e da «uno stile di vista civico, applicato alla ristorazione». Qualità ed etica per Martina è un binomio imprescindibile. Non per nulla ha chiamato con questa semplice parola i suoi locali: «Ogni gesto, anche il più piccolo, può contenere un significato profondo. A volte lo facciamo per amore, altre per passione. Ci aiuta a esprimere, quando le parole non bastano». Martina è attenta a selezionare l’origine delle materie prime: visita gli allevamenti e predilige quelli etici, dove gli animali sono lasciati allo stato libero. «Serviamo piccole porzioni, tutte con prodotti italiani - prosegue Martina - sono contro gli sprechi, perché non desidero che la clientela sia costretta a terminare un piatto. Da noi è difficile che avanzi qualche cosa, ma se dovesse avvenire, è messo tutto nella doggy bag. Anzi consigliamo alla clientela di portare via l’acqua, bene prezioso, che non va mai sprecata».

Un “Gesto” educativo, dunque. «La nostra cucina è ricercata, come il baccalà con ceci e perle di cassis, servito su una lavagnetta o le ciabattine della buona notte, dolce arricchito con crema di nocciola e panna - prosegue Martina - ma l’ambiente è casalingo, dove si paga... il giusto prezzo. Le porzioni? Tutte rigorosamente pesate. Qui lo spreco è messo al bando, dalle scorze di limone lavorate per il bar all’acqua dei ceci per creare un drink vegano».



Le mono-porzioni hanno contaminato anche la pasticceria: se si è da soli o in due, perché rinunciare a una golosità? Ecco dunque un delizioso “Montebianco”, formato mignon, che si può trovare nella storica Pasticceria milanese Panzera: «Realizziamo i nostri dolci più amati in versione monodose da sempre, li hanno sempre chiesti, per togliersi uno sfizio a metà mattina, a fine pranzo e, soprattutto all’ora del tè - racconta Lorenzo Panzera, titolare dell’omonima pasticceria - produciamo tartellette ai frutti di bosco con crema pasticcera, al cioccolato e al pistacchio. Uno dei nostri dolci cult, il Montebianco, è realizzato in diverse versioni monodose fino a 8-10 persone e anche più grande, su richiesta. A rotazione anche le classiche torte sono proposte a fette. Noi lavoriamo tutto a mano; preparare piccole porzioni richiede più tempo ed estrema precisione. Il piccolo in pasticceria è sempre più complesso, per questo le versioni mignon hanno un costo in proporzione leggermente maggiore rispetto alla porzione grande».



Un angolo di Sicilia è approdato a Milano, da Ammu in Corso Garibaldi: un goloso cannolo siciliano monoporzione costa solo 2 euro, mentre la vera cassata in formato monodose solo tre euro e 50. D’altra parte se si acquistasse un dolce da 6-8 porzioni, irrimediabilmente finirebbe per avanzare e poi in fondo anche i single hanno diritto di accontentare la gola.

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Alberto Lupini


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