Oms e Onu vs agroalimentare italiano Le associazioni di settore insorgono

Parmigiano Reggiano, Prosciutto di Parma, ma anche pizza, vino e olio: tutti rischiano di fare la fine delle sigarette: tassati, e con l'etichetta «nuocciono gravemente alla salute» . Le associazioni di settore hanno espresso il proprio disappunto nei confronti di una questione dannosa per il Made in Italy

18 luglio 2018 | 18:18
Tutto nasce dal fatto che l’Organizzazione mondiale della sanità e l’Onu si sono opposte fortemente al diabete, al cancro e alle malattie cardiovascolari. Secondo le due istituzioni i morti per queste malattie non trasmissibili dovranno essere ridotti del 30% entro il 2030. In che modo?

Riducendo l’apporto di grassi saturi, sale, zuccheri e alcol nella dieta. Il problema è che sotto le restrizioni dell’Oms rischiano di finirci anche i prodotti di alta qualità del made in Italy, come per esempio il Parmigiano Reggiano, che è stato paragonato al fumo per una quantità di sale superiore alla norma. In questo modo l'Oms si oppone ai principi della dieta mediterranea, che era stata riconosciuta come la più salutare anche dalla stessa organizzazione. Ma l'allarme è rientrato per stessa voce delle due organizzaizoni che hanno spiegato come nell'assemblea del 27 settembre si esprimerà un voto più "politico" e non un voto circa l'introduzione di quelle restrizioni.



Per questo motivo l’industria agroalimentare non accetta queste prese di posizione: non solo non è buono per le aziende, ma nemmeno per i consumatori poiché - sostiene - non vi sono alcune basi scientifiche che dimostrino che tali misure possano ridurre l’impatto delle malattie non trasmissibili.

Infatti alcune ricerche recenti dimostrano che il diabete e le malattie cardiovascolari non sono determinate da una sola causa, ma dipendono da molte variabili tra cui genetiche, stile di vita, eccesso di alimentazione o mancanza di movimento. Tra cibo e determinate malattie non trasmissibili, quindi, non esisterebbe una correlazione esclusiva.

Su questo argomento si saprà qualcosa in più il 27 settembre, quando a New York si terrà un incontro di un giorno intero dell’assemblea generale delle Nazioni Unite a livello di capi di stato e di governo per affrontare i temi relativi a questo tipo di malattie. Durante questo appuntamento andrà ai voti la proposta su cui l’Onu sta lavorando proprio in questo periodo, e che potrebbe prevedere nuove, pesanti tasse sui prodotti alimentari contenenti grassi, sale e zuccheri in eccesso. In esame c'è anche la possibilità  dell’inserimento di immagini di pericolo sulle confezioni di molti prodotti alimentari per scoraggiare il loro consumo, simili a quelle usate per le sigarette.

Tuttavia, tra una risoluzione dell’Onu e una nuova normativa a livello nazionale la strada è lunga, perché per le risoluzioni non c’è alcun obbligo di recepimento da parte dei governi sovrani. Nelle scelte degli Stati un’indicazione dell’Onu resta comunque un’importante indirizzamento, una presenza autorevole che assicura protezione a qualsiasi parlamento volesse adottare misure coerenti con la risoluzione stessa.

Proprio una risoluzione dell’Onu, per esempio, ha portato alle recenti sanzioni inflitte alla Russia. Sono in molti a pensare che alcuni governi del Sudamerica, tendenzialmente più attenti alle indicazioni delle istituzioni internazionali, potrebbero procedere con misure punitive nei confronti dell’agroalimentare se la risoluzione dovesse essere approvata.


Gian Marco Centinaio

Per questa ragione l’industria italiana è in allerta. Dai produttori di olio d’oliva alle cantine vinicole, dai formaggi dop alla Ferrero, tutti rischiano di incorrere in queste sanzioni. Lo stesso presidente della multinazionale di Alba, l’ex ambasciatore (anche alla stessa Onu) Francesco Paolo Fulci, dal palco del convegno inaugurale di Cibus 2018 aveva pubblicamente mostrato una forte opposizione contro la proposta di risoluzione dell'Onu. Questo tipo di restrizioni metterebbe a rischio gli oltre 41 miliardi di export messi a segno nel 2017 dall'Italia, che in tal modo diventerebbero difficili da replicare.

Ma il nostro Paese non è l’unico a essere preoccupato: si sta creando un fronte comune tra i Paesi cosiddetti della dieta mediterranea per proteggere i migliori prodotti della tradizione alimentare. Dai formaggi francesi alle olive greche, passando per il jamòn iberico.

Uno studio dello Iea ha riportato un dato particolarmente interessante: se venisse per esempio applicata una tassa del 20% su tutte le bevande e su tutti i cibi contenenti zucchero, sale o grassi saturi, l’aggravio nella spesa di una famiglia media sarebbe di 546 euro all’anno in Italia, di 612 dollari negli Stati Uniti e di 458 sterline in Gran Bretagna.

Confermando l'importanza di questa statistica, il presidente di Copagri Franco Verrascina "invita il governo a mobilitarsi per evitare una tassa che, secondo uno studio dell’Istituto di affari economici, comporterebbe una maggiore spesa annua di circa 546 euro per famiglia".

Per capire chi potrebbe trarre vantaggio, invece, da questa risoluzione delle Nazioni Unite, basta guardare a quello che è successo in Europa, da quando la Gran Bretagna per prima, e poi la Francia, hanno adottato le etichette nutrizionali a semaforo per gli alimenti, una vicenda piuttosto simile a quella che oggi è presa in considerazione dall’Onu.

Come ricordato da Coldiretti in una recente campagna stampa, questo metodo approva la Coca Cola Light per il suo ridotto contenuto di zuccheri, opponendosi però all’85% delle Dop italiane. E se per ricevere approvazione basta sostituire lo zucchero con l’aspartame, vuol dire che a guadagnarci saranno l’industria chimica e tutti i produttori di sostituti chimici per alimenti.

Le reazioni del mondo agroalimentare italiano non hanno tardato ad arrivare, con il ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali Gian Marco Centinaio che ha espresso tutto il suo disappunto sull'argomento: «Siamo alla pazzia pura. Non posso credere che i nostri eccellenti prodotti vengano considerati come i prodotti chimici che spesso vengono venduti nei supermercati americani. Se davvero siamo sotto attacco, sono pronto a contrattaccare, non intendo fare alcun passo indietro».


Dino Scanavino, Massimiliano Giansanti e Gennaro Sicolo

«È in corso un attacco senza precedenti ai prodotti italiani di qualità, perchè paragonare l’olio extravergine d’oliva - dice il presidente del Consorzio Nazionale degli Olivicoltori, Gennaro Sicolo, che ha commentato le indiscrezioni provenienti dalle Nazioni Unite e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità - e altri simboli del Made in Italy al fumo delle sigarette è un’autentica follia che va fermata in ogni modo».

«Sarebbe una vera dichiarazione di guerra al nostro Paese - continua Sicolo - e a tutta la filiera agroalimentare italiana, dall’industria sana alla produzione. La battaglia a tutela del Made in Italy è assolutamente comune ed il Consorzio Nazionale degli Olivicoltori è pronto a fornire il suo contributo, grazie alle numerose ricerche scientifiche che hanno provato come il consumo di olio extravergine d’oliva di qualità faccia bene alla salute. Il Governo Italiano si sta già muovendo in maniera decisa per evitare uno scenario apocalittico per l’agroalimentare italiano, anche creando sinergie con gli altri Paesi del Mediterraneo».

Anche la Coldiretti ha voluto denunciare l’atteggiamento dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, che secondo l'azienda da una parte riconosce il valore della Dieta Mediterranea come la migliore, tanto da essere stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità, ma dall’altra pensa di colpire gran parte degli alimenti che ne fanno parte.
 
«Sulla scorta dei sistemi di etichetta a semaforo – spiega la Coldiretti - adottati in Gran Bretagna e Francia, l’Onu, nella terza riunione sulle malattie non trasmissibili il 27 settembre, si prepara a  penalizzare i prodotti che contengono zuccheri, grassi e sale, equiparandoli di fatto alle sigarette e dando il via libera a tutti i prodotti dietetici e poveri di zuccheri delle multinazionali, come ad esempio le bibite gassate ricche di aspartame».

«Una posizione priva di solide basi scientifiche – sottolinea la Coldiretti – che va contro gli stessi principi della dieta mediterranea fondata principalmente su pane, pasta, frutta, verdura, carne, olio extravergine e il tradizionale bicchiere di vino consumati a tavola in pasti regolari. In questo modo si mette in pericolo non solo la salute dei cittadini italiani ed europei, ma anche un sistema produttivo di qualità che si è affermato anche grazie ai riconoscimenti dell’Unione Europea. In gioco per l’Italia c’è la leadership in Europa nelle produzioni di qualità con 293 riconoscimenti di prodotti a denominazione (Dop/Igp)».

Anche il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti ha commentato la vicenda: «Siamo preoccupati. Un provvedimento di questo genere avrebbe effetti devastanti proprio sulla dieta mediterranea, patrimonio dell’umanità Unesco. Qualcosa di simile è successo con le etichette a semaforo in Gran Bretagna e Francia».

Dino Scanavino, presidente di Cia annuncia: «Siamo davvero stupiti di questo attacco. I veri prodotti Made in Italy sono sani e garantiti da una filiera di produzione definita e certificata».

Federvini (Federazione Italiana Industriali Produttori, Esportatori ed Importatori di Vini, Vini Spumanti, Aperitivi, Acquaviti, Liquori, Sciroppi, Aceti ed Affini)
ha deciso di schierarsi contro questo "attacco" alla Dieta Mediterranea e ai prodotti del Made in Italy: «La proposta che i Capi di Stato e di Governo dovranno discutere nell’Assemblea ONU del prossimo 27 settembre, fa un’inammissibile generalizzazione: non vi è distinzione tra le caratteristiche dei singoli prodotti e non viene preso in considerazione il fondamentale aspetto della qualità. La Dieta Mediterranea – che ha consentito alla popolazione italiana di raggiungere un livello di longevità tra i più alti a livello mondiale - va, infatti, valutata nel suo complesso facendo attenzione a considerare l’elevata e incomparabile qualità raggiunta dai prodotti italiani.

Infine anche Cesare Baldrighi, presidente di Aicig, ha espresso la sua opinione in merito.

«Equiparare i gioielli dell’agroalimentare italiano e della Dieta mediterranea alle sigarette è un paragone inaccettabile - ha commentato Baldrighi - e la posizione di Aicig su tale questione è fermamente contraria: essa da sempre si adopera per trasferire una formula di filosofia alimentare cha affonda le radici nelle consuetudini che le famiglie italiane hanno sviluppato nei secoli. L’Associazione che presiedo ad oggi rappresenta 67 realtà consortili relative a denominazioni agroalimentari  italiane, rappresentative di circa il 95% delle produzioni italiane ad indicazione geografica. Di queste, la maggioranza sono relative a prodotti caseari (23 denominazioni), tuttavia importante è altresì la presenza di prodotti a base di carne (11 denominazioni) e olii (8 denominazioni). Ovvero le produzioni che sarebbero coinvolte da tale provvedimento se esso venisse recepito a livello nazionale».

Non resta che aspettare il D-day di questa battaglia che sarà il 27 settembre, quando i capi di Stato e di governo saranno presenti a New York all’Assemblea delle Nazioni Unite per prendere una decisione.

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Alberto Lupini


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