Palermo si abbuffa di arancine Polverizzate 800mila in una sera

La tipica ricetta siciliana è stata protagonista nel capoluogo isolano della festa di Santa Lucia, da quella al ragù alle versioni più contemporanee

20 dicembre 2019 | 15:42
di Gianni Paternò
Per i siciliani e per i palermitani in particolare ogni festa, ogni evento, ogni ricorrenza diventa occasione per dar sfogo alla gola, per riempire la pancia di cibo, spesso tradizionalmente legato proprio a quella festa.



Il tripudio della gola in assoluto è diventato il 13 dicembre quando si festeggia Santa Lucia. In questo giorno per devozione alla Santa non si dovrebbe mangiare né pane né pasta. Il motivo risale a tanti anni fa quando in Sicilia c’era una terribile carestia e si pregavano i santi affinché un miracolo potesse sfamare la popolazione. Fu proprio il giorno di Santa Lucia che al porto di Palermo arrivarono delle navi cariche di grano. I cittadini affamati presero il grano, lo bollirono semplicemente e lo mangiarono così senza perdere tempo a molarlo per ottenere la farina o la semola per fare pane o pasta.

Cominciò così la devozione di non mangiare pane e pasta bensì il grano bollito che si chiamò cuccia. Ma i siciliani potevano veramente limitarsi ad un cibo troppo semplice, elementare e affatto goloso? Assolutamente no. Nel tempo la cuccia diventò la base di preparazioni salate e specialmente dolci aggiungendo creme di latte o di ricotta o cioccolato, zucchero, aromi, canditi, dando sfogo alle fantasie anche ardite. Alla cuccia si affiancò il riso, abbondantemente condito come se fosse pasta o in timballi al forno imbottiti di ogni ben di dio e sempre più preparazioni a base di patate come il gattò (da gâteau), i cazzilli (crocchette o crocché) ed altro. Anche i ceci diventarono protagonisti come zuppe e particolarmente come le famose panelle, anche in versione dolce ripiene di crema in genere di ricotta.

Il ragù all'interno dell'arancina

Il posto regale è però detenuto dalla regina dello street food siciliano: l’Arancina detta anche “Arancino” nella Sicilia orientale, una palla di riso fritta che ha forma rotonda o ovale o a cono, ripiena nella versione originale alla carne di un ottimo ragù o più recentemente al burro con prosciutto, mozzarella o/e formaggi freschi e besciamella. A queste versioni tradizionali normalmente se ne affianca qualcuna diversa: agli spinaci, a salsiccia, a salmone e così via secondo l’estro dell’esercizio. Poi il giorno di Santa Lucia le tipologie aumentano considerevolmente diventando anche gourmet con ingredienti particolari ed abbinamenti fantasiosi.

A Palermo tutti i forni, bar, pasticcerie, rosticcerie, gastronomie e molti ristoranti friggono centinaia o migliaia di arancine, oltre quelle che tante famiglie preparano in proprio. Non c’è palermitano, tranne che sia malato grave di stomaco, che non mangi almeno un’arancina, pertanto il calcolo è subito fatto, anche se per difetto: quasi 700mila residenti più altri 100mila circa dell’area metropolitana che gravano sulla capitale, quindi almeno 800mila arancine.

Nella Sicilia orientale l'Arancina è declianta al maschile

Trascorsa l’abbuffata, perché di questo si tratta aggiungendo cuccia, gattò, panelle ed altro, nella quasi totalità fritti, e dopo aver ingurgitato una buona dose di bicarbonato o altro antiacido ci siamo presi la briga di chiedere al locale più noto di Palermo, nato nel 2013 proponendo inizialmente solo arancine con circa 30 condimenti, da asporto o da mangiare in piedi: Ke Palle, così si chiama con un nome efficace di marketing, che oggi ha 3 esercizi in città di cui 2 nelle vie più turistiche e che vanta una particolare cura in tutto il processo di produzione a cominciare dagli ingredienti.

L'arancino è lo street food tipico della Sicilia

«Il giorno di Santa Lucia abbiamo prodotto, in una giornata di tempo da lupi per cui molta gente è rimasta a casa, circa 10.000 arancine – afferma Danilo Li Muli il proprietario – di cui la maggior parte al burro, poi alla carne, al burro gourmet, ai friarielli e salsiccia»

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Alberto Lupini


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