Un salto indietro di 400 anni per rivivere l'atmosfera del passato

Ricorriamo ad un gigante, Johann Wolfgang von Goethe, e citiamo un suo pensiero: “Colui che non è in grado di darsi conto di tremila anni rimane al buio e vive alla giornata”

01 aprile 2019 | 15:49
di Vincenzo D’Antonio
Ecco, ad Artimino durante la due giorni dell’11ª edizione del Premio Italia a Tavola, in un’atmosfera di lietezza dalla quale è difficile prescindere quando si vive un luogo mediceo, abbiamo ancora una volta potuto constatare quanto è vera l’affermazione di Goethe.



Anni resi fatidici: 1619-2019. Lasso temporale di quattrocento anni e la suadente comprensione di come tutto scorra in placida armonia al cospetto di pietre miliari. Pietra miliare: la musica. Il linguaggio universale. La cena di gala è stata allietata dalla musica suonata con gli strumenti dell’epoca.

Particolarmente emozionante anche la musica utilizzata durante i momenti delle premiazioni. Sì: altisonanti squilli di tromba e sonori rullar di tamburi. Ad indurre attenzione, ad evocare importanza, a suscitare partecipazione e ad innescare plausi. La supremazia dell’orecchio e la magia che solo i racconti sanno suscitare. È sempre vero che “prestami un orecchio e ti restituisco occhio”. Oggi si chiama storytelling.



Pietra miliare: le statue. Il fermo immagine. Busti, figure intere e, se non letteralmente statue, gli affreschi di volta ed i quadri. Insomma le arti visive. Acquisire contezza delle allegorie e rispettare i grandi del tempo passato. Durante la cena di gala, l’allegra magia delle statue in movimento: figuranti appropriatamente abbigliati, naturale il loro incedere, a donare immagini in retro visione. Il fluire del tempo.

Pietra miliare: i fiori, offerti da La Gardenia. I doni di natura. Nei saloni della villa addobbi floreali a deliziare la vista, dacché all’olfatto ed al palato ci pensano le pietanze. Il comunicare evergreen attraverso i fiori la lietezza medicea di cui si diceva. Oggi come allora, altrimenti evergreen non sarebbe, è ancora così. E cosa allora stiamo notando? Stiamo notando che la bellezza non muore, che della bellezza abbiamo bisogno, che, come fu detto, la bellezza salverà il mondo.



E poi ancora le composizioni di frutta e verdura poste su ogni corner dove i cuochi si sono esibiti (opera anch'esse de La Gardenia), le sculture in terracotta che fungevano da centro-tavola curati e studiati da Antica Fornace Mariani per inserirsi al meglio non solo nella mise-en-place, ma anche nel contesto intero dell’evento. A rendere ulteriormente prezioso questo dettaglio, la parte progettuale e il verde decorativo curato da Alessandra Novelli stilista del verde. Infine, "Metamorfosi" la torta monumentale realizzata dalla sugar-artist Francesca Speranza (4ª nella categoria Pasticceri del sondaggio). Scultura da un metro che richiamava inevitabilmente il tema dell'evento e che spiccava nella zona degli aperitivi, negli spazi delle Cantine Granducali.

Dove più e dove meno c’era, cominciata già nel secolo precedente, forte attenzione al sapere e quindi alla cultura: le invenzioni, le scoperte, il fiorire delle accademie. E nel fluire del tempo, rigogliosa nelle corti lo svolgersi quotidiano di quella cultura materiale che permea l’atto stesso del cibarsi. Tanti piccoli stati, neanche all’orizzonte lo stato unitario, e tanti modi di cucinare. Reperibilità delle materie prime, tecniche di cottura, la stessa successione delle pietanze, il servizio a tavola e, come ampiamente dibattuto, l’introduzione delle posate, principale tra esse la forchetta. Le differenze, quindi, le diversità. Sorta di cucine etniche, se così possiamo dire.



Ed in virtù di queste diversità, nascevano e proliferavano le contaminazioni virtuose, dai traffici rese possibili e dalle curiosità di cuochi e cortigiani rese vincenti. Cominciava così, con l’elogio delle diversità il grande cammino della cucina intesa come estrinsecazione della cultura materiale. Oggi accade sovente che al cospetto delle diversità, a meno che non si tratti di mode effimere, siamo più propensi a chiuderci piuttosto che ad aprirci. Ecco la lezione appresa: se i nostri secoli di maggior splendore sono stati quelli del Rinascimento è perché nel Rinascimento si guardava con curiosità e con rispetto al nuovo ed al diverso.

Un anelito: siamo facitori, vivificando quanto virtuosamente sedimentatosi negli ultimi quattro secoli, dell’Rpv? Un Rpv, ci sia consentito il conio dell’acronimo, che sta per Rinascimento Prossimo Venturo. Non è probabile, ma è possibile.



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Alberto Lupini


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