Sharing economy, le stanze in affitto tolgono il lavoro agli hotel... con un click

29 aprile 2016 | 15:13
Andare in vacanza non è certo un problema d'alloggio. Dagli hotel ai villaggi fino ai b&b e… alle case da affittare, è sempre più frequente la cosiddetta “ricettività non ufficiale”. Sono sempre di più le persone che offrono in affitto stanze o interi alloggi, pubblicizzandoli per la maggior parte sul web. Non c'è in effetti ombra di illegalità: è un sistema chiamato “sharing economy”, l'economia della condivisione.



Il problema è che «sta diventando un'economia parallela e una forma di concorrenza sleale verso strutture ufficiali come gli hotel»: questo il commento di Stefano Bollettinari, direttore regionale di Confesercenti, che ha affidato una ricerca al Centro studi turistici di Firenze. L'Emilia Romagna funge bene da esempio. Sono stati monitorati siti quali Booking e TripAdvisor e piattaforme come HomeAway, Wimdu e Casavacanze.it. Per queste ultime tre nella Regione sono stati trovati tra febbraio e marzo rispettivamente 11.453 posti letto per la prima, 8.248 per la seconda e 7.271 per la terza.

Un paragrafo a sé merita AirBnb, colosso internazionale degli affitti di case condivise: considerando esclusivamente il capoluogo bolognese, sono 611 gli annunci, di cui l'80% non riconducibile a strutture “ufficiali”. Non c'è dubbio che anche queste strutture siano importanti per migliorare l'offerta turistica di una città e più in generale di una nazione come l'Italia, ma deve esserci una normativa comune: «Siamo contrari - spiega Paolo Mazza, presidente di Assohotel Bologna - a chi non si adegua alle regole commerciali e agli obblighi di natura fiscale, di servizi e di sicurezza». Si tratta di tasse, tasse di soggiorno, regolamentazione degli ospiti: sono tanti i fattori che entrano in gioco, tante le variabili da considerare prima di “ignorare e passare oltre” questo fenomeno che può fortemente danneggiare l'economia italiana.

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Alberto Lupini


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