Vendere le spiagge? Non scherziamo e valorizziamole invece

Lo Stato non dovrebbe vendere le spiagge ma darle in concessione a valori alti e con scadenze lunghe (anche 20 o 30 anni); dovrebbe invece vendere parte delle centinaia di migliaia di immobili da cui non ricava reddito

26 novembre 2018 | 17:40
di Alberto Lupini
Nell’affannosa ricerca di nuove entrate per cercare di tamponare il deficit del bilancio dello Stato, c’è anche chi si inventa bizzarre soluzioni. È il caso di una coppia di senatori (eletti per M5s e Forza Italia) che hanno presentato degli emendamenti alla legge finanziaria per la vendita delle spiagge italiane. Il che significherebbe, in soldoni, rinunciare ad aree demaniali che in genere oggi danno un basso gettito, per passarne la proprietà ai gestori di stabilimenti balneari o agli alberghi che finora ne hanno tratto profitto.



Il punto è che, al di là della perdita di un patrimonio di tutti, lo Stato rischierebbe di privarsi di beni che potrebbero invece garantire entrate più consistenti, se solo fossero gestiti meglio. Per non parlare dell’impossibilità di avviare nuove politiche per valorizzare in modo più efficace e coordinato il turismo balneare promuovendo meglio proprio queste aree demaniali.

In realtà, più che di risolvere un problema di proprietà, i gestori delle strutture balneari avrebbero bisogno di avere certezze riguardo agli importanti investimenti fatti negli anni. Le loro concessioni a fasi alterne sono rimesse in discussione da ipotesi di disdetta ed aste. È evidente che essere proprietari anche del litorale, oltre che del bar, delle cabine e degli ombrelloni, potrebbe dare più certezze agli operatori del settore. Ma siamo sicuri che ciò possa essere davvero un vantaggio per loro e per lo Stato? Per il bilancio statale sarebbe un’operazione a perdere, nel tempo, perché oggi incasserebbe pochissimo (partendo dagli oneri attuali di concessione si ricaverebbe davvero poco in caso di vendita) e poi non avrebbe più un controllo di queste aree, aprendo anche non pochi conflitti di tipo costituzionale.

Se invece si dovessero applicare criteri di vendita rigorosi si potrebbero aprire problemi seri per gli stessi gestori dei “bagni”: in caso di aste i più forti potrebbero infatti rilevare le aree oggi in concessione di qualche concorrente. Per non parlare del rischio di infiltrazioni criminali se si pensa che proprio in questo settore il clan dei Casamonica (quello delle villette sequestrate a Roma nei giorni scorsi) sta facendo da tempo investimenti rilevantissimi in tutta Italia.

Il sospetto è che dietro questi emendamenti “creativi” ci possa essere qualche manina dei soliti furbi che mirano a portarsi a casa con pochi euro terreni dal valore quasi inestimabile. Il punto è che c’è oggi chi non paga praticamente nulla per gestire spiagge fra le più belle al mondo. L’albergo di lusso di Cala di Volpe pare abbia ad esempio in concessione a Porto Cervo in Sardegna (costa Smeralda) l’esclusiva spiaggia di Liscia Ruja per la cifra di 520 euro. Invece di vendere quella spiaggia, perché lo Stato non fa pagare una concessione adeguata al valore di quell’ambiente unico?

Il problema vero è ricavare un giusto gettito dai beni immobili dello Stato. Dalle spiagge si può ricavare molto di più, dando garanzie ai concessionari. Lo Stato non dovrebbe vendere le spiagge (o le cime delle montagne) ma darle in concessione a valori alti e con scadenze lunghe (anche 20 o 30 anni); dovrebbe invece vendere parte delle centinaia di migliaia di immobili da cui non ricava reddito. Si tratta di appartamenti e uffici affittati magari ad “amici” di questo o quel politico. Tutte persone, possiamo starne certi, oggi pronte a dichiarare fede giallo-verde pur di continuare ad occupare case beneficiate dalla vecchia politica.

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