Tocco di Puglia nel cuore di Milano Fornello Contadino punta sulla genuinità

In Italia valorizzare i prodotti tipici è tutto, visto che viviamo dentro una miniera di tipicità. Ma c’è chi la prende proprio come una missione: ad esempio la famiglia Ingrosso/Micoccio

16 marzo 2019 | 09:15
di Guido Gabaldi
A Milano ha aperto quattro locali in cinque anni, ossia un bar/tavola calda e tre piccoli ristoranti. L’ultimo è “Fornello Contadino” in via Solferino, dopo “I Salentini”, “Santu Paulu Salento Bar”, “Puglia in Brera”.



«Anche a Milano, al giorno d’oggi, tutti inseguono il concetto di tradizione - spiega uno dei titolari/animatori del progetto, Antonio Ingrosso - ma si può essere tradizionali senza essere autentici: la ristorazione offre tante imitazioni e finzioni. Autentico è chi sa da dove viene e capisce dove sta andando: ed è infatti a partire dal recupero dei valori contadini che le nostre famiglie stanno investendo, passo dopo passo, e questo fil rouge non deve mai scolorirsi. Che è il motivo, ad esempio, per cui i tavoli e le sedie che vede qui sono raccolti da vecchie chiese, cascine e botteghe antiquarie. Anche gli arredi, oltre ai menu, devono far sentire ai clienti che si trovano in un’oasi metropolitana, dove assaggeranno qualcosa di diverso e di antico».



Cosa assaggiare? «Io sono pugliese Doc di Sannicola, vicino Gallipoli - spiega Antonio - e tutti e quattro i locali sono fortemente caratterizzati in questo senso. E perciò come far mancare le Sagne ritorte al Ragù o le Trie di grano arso e Mugnuli (broccoli selvatici); oppure i Ravioli al ripieno di Bufala Dop del Gargano, le Pittole al cavolfiore, la Salsiccia paesana di cavallo al finocchietto. Le verdure e i latticini devono esserci più o meno dappertutto, altrimenti non saremmo in Puglia. Ma siccome a me piace viaggiare e sperimentare, anche lungo i sentieri del gusto, deve esserci spazio per altre proposte tradizionali e autentiche, specie se si tratta di Presidi Slow Food. E allora da Branzi (Bg) mi faccio portare il loro tipico stracchino, da usare in svariate preparazioni, e specialmente con il pane a bruschetta, all’insegna della semplicità; dalla Valbrembana arriva la polenta da servire con Costine di Mora romagnola (altro Presidio Slow Food), per dirne un’altra».



Novità frizzanti, potremmo dire, anche se chi conosce non da oggi la cucina di Donata Rizzo, cuoca e collaboratrice storica della famiglia al timone, è un po’ affezionato a qualche classico che sparisce e ritorna ciclicamente, evidentemente perché richiesto dai clienti affezionati: valgano come esempio le melanzane “alla poverella”, fritte senz’uovo, con pomodoro e una buona dose di basilico, e le verdure fritte in pastella. Il “Fornello contadino” è stato inaugurato un mese fa, e quindi Antonio Ingrosso e sua moglie, Francesca Micoccio, sono partiti dalla stagionalità dei carciofi, più o meno in tutte le salse: continueranno a insistere con i loro cavalli di battaglia, da riproporre al variare delle stagioni.



Va da sé che l’atmosfera contadina di locali come questo richiama alla mente e al palato la mescita del vino, e tanto per rimanere in tema abbiamo sperimentato qualche nome ormai di prestigio, visto che ha iniziato a vincere premi e riconoscimenti - tre bicchieri del Gambero Rosso, miglior vino rosso d’Italia per Luca Maroni, e potremmo continuare: stiamo parlando delle Cantine San Marzano. Un successo che viene da lontano, dalla terra rossa e ferrosa dell’agro di San Marzano e dell’agro di Sava, in provincia di Taranto.

Luoghi che fanno nascere un campione ormai conosciuto, come il Sessantanni Primitivo Dop: i vitigni, come dice la denominazione, hanno più di sessant’anni e sanno regalare un rosso di grande corpo, dotato di tannini eleganti e sentori di prugna e spezie. Una produzione di nicchia e di eccellenza, pluripremiata, il cui valore dà un’idea precisa dei livelli raggiunti dalle Cantine San Marzano, che accomuna altre grandi interpretazioni pugliesi come il Puno Sauvignon Malvasia, il Talò Verdeca Puglia, il Tramari Rosé di Primitivo, l’Edda Bianco del Salento.

I piatti pensati dalla famiglia Ingrosso/Micoccio sanno dunque accompagnarsi a queste scelte enologiche essenziali, sapide e perfino coraggiose, nell’ambito di una ristorazione metropolitana che corre il rischio di appiattirsi, all’inseguimento del profitto fine a sé stesso. Vogliamo essere ottimisti e credere che, nonostante il successo dei primi cinque anni, le sirene del mercato non riusciranno ad ammaliare i titolari di un’osteria come “Il Fornello Contadino”, affettuosamente attaccati alla loro idea di cucina autentica e tradizionale.

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Alberto Lupini


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