Anche nei piatti più classici trova espressione lo stile del cuoco

26 gennaio 2016 | 10:36
La varietà del patrimonio enogastronomico italiano è una qualità che tutto il mondo invidia. Dal nord al sud Italia si trovano prodotti di primissima qualità che se abbinati da mani sapienti possono dare vita a piatti che fanno la storia, come nel caso della Costoletta alla milanese. In occasione della “Giornata mondiale delle Cucine italiane”, l’evento organizzato da Itchefs-Gvci (Gruppo virtuale cuochi italiani), di cui Italia a Tavola è stato media partner, sono state presentate varie interpretazioni del piatto che più di tutti appartiene alla tradizione meneghina, tra cui quella di Tano Simonato (nella prima foto in basso), del ristorante “Tano passami l’olio” a Milano, e quella di Davide Caranchini (nella seconda foto in basso).



«Ho imparato a cucinare la Costoletta alla milanese da mia madre circa 40 anni fa - racconta Tano Simonato - lei mi ha trasmesso l’amore per la cucina. Utilizzavo il burro, l’uovo e il pane, proprio come vuole la tradizione. Poi ho scoperto l’importanza dell’olio extravergine d’oliva e ho iniziato a sostituirlo al burro; così i grassi diminuiscono, e anche il colesterolo. Col tempo ho introdotto nella preparazione di questo storico piatto una mia personale variante: ho rimpiazzato la farina, ingrediente che appesantisce notevolmente la cotoletta, con una panatura costruita in successione con miele, pane, uovo e ancora pane, così da donare al piatto quella giusta dose di dolcezza, mantenendo intatti quei succhi di cui una carne bianca come il vitello è molto ricca. Apparentemente è una Cotoletta alla milanese come tutte le altre, che in realtà al palato risulta più leggera».

Un’interpretazione personale quella che Tano Simonato propone anche al suo ristorante, senza però un vero distacco dalla tradizione. C’è anche chi ha deciso di riprendere la ricetta dalla base e di adattarla per mezzo del proprio stile culinario al proprio territorio di provenienza; si tratta di Davide Caranchini, classe 1990.



«Sono stato definito eretico - sostiene Caranchini - perché ho tradito la ferrea tipicità di questa ricetta. In realtà io ho una mia filosofia di cucina, legata al territorio comasco, dove sono cresciuto; amo esaltarne i prodotti ai fornelli, e ho deciso di farlo anche in questa occasione. Come prima accortezza ho scelto una razza fassona come carne, subito dopo ho preparato la classica panatura con uovo e pangrattato, aromatizzandola però con timo serpillo, un’erba selvatica che cresce sulle sponde del nostro lago. Prima di servirla, quasi per dare un’impressione di bruciatura, ho ricoperto la cotoletta con una polvere vegetale ottenuta dalla carbonizzazione di sedano, carota e cipolla; infine ho deciso di accompagnarla con una crema di patata di montagna affumicata proveniente dalla Val d’Intelvi e una salsa il cui sapore ricorda il classico fritto alla comasca a base di carpione».

«Per realizzarlo - spiega Caranchini - ho preparato un estratto di barbabietola, centrifugato, messo a marinare con i sapori classici del carpione, vale a dire cipolla, pepe e timo, passato nell’aceto e legato con fondo di vitello, così da richiamare l’ingrediente principale della ricetta. La mia è una ricetta lontana dalla tradizione, ma preparata secondo un mio personale stile, che mi rappresenta e allo stesso tempo incorpora il territorio e i prodotti di casa mia».



Due generazioni differenti, due stili lontani tra di loro, eppure entrambi gli chef hanno inserito nella propria versione del “piatto del giorno” la loro personalità senza mancare di rispetto a ciò che è tradizione consolidata e motivo di fierezza per il nostro passato e presente culinario.

«Ognuno di noi ha la propria filosofia - conclude Tano Simonato - e deve esserne coerente, senza farsi condizionare da nessuno, e, al contempo, portando rispetto per la tradizione e il pensiero altrui. Queste sono le regole di una cucina di successo».

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Alberto Lupini


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