Brand ambassador e barman non sono la stessa cosa

Oggi i giovani sono attratti da carriere che non si costruiscono dietro il bancone. Facciamo in modo che il periodo di stop imposto dal coronavirus dia l'occasione di fare alcune utili riflessioni sul mondo del bar

07 aprile 2020 | 08:06
di Ernesto Molteni
Le aziende del mondo del beverage tendono ad avvalersi di figure commerciali per proporre il loro brand. È una forma di marketing che mira a promuovere i prodotti e ottenere più consensi e soprattutto più vendite nei bar. I barman che hanno avuto successo e visibilità nell’ambito di competizioni o nei locali sono figure molto ricercate. E difficilmente rifiutano questo tipo di proposta perché da un lato ci sono ottime condizioni remunerative, dall’altro aumenta la loro fama. In questo modo molti barman entrano nel mondo commerciale e imprenditoriale tralasciando un po’ quella loro funzione di accoglienza e professionalità legata generalmente all’ambito del bar.


Brand ambassador e barman non sono la stessa cosa

La cosa non è del tutto negativa, nasce una nuova figura imprenditoriale e commerciale. L’errore è quello di valutare tale figura come una classificazione di merito del barman. Se è bravo a livello commerciale non è detto che sia il barman più qualificato: ce ne sono tanti altri che tutti i giorni lavorano dietro il bancone, molto apprezzati dalla loro clientela e magari sconosciuti nel web. Lo stesso problema lo vediamo verificarsi, anche se in modo diverso, con gli chef che diventano famosi nei programmi televisivi a tal punto che ormai non fanno più il loro lavoro.

Oggi c’è la tendenza ad avere tutto e subito con la smania di diventare presto manager e non lavorare più dietro il banco bar, manca lo spirito di sacrificio e la passione nel nostro lavoro. Una volta per tutte dovremmo lanciare un messaggio importante all’opinione pubblica per salvaguardare il ruolo della nostra professionalità: il barman è tale solo se lavora in un bar dietro il bancone, così come lo chef è tale se sta in cucina dietro i fornelli, il sommelier solo se lavora effettivamente al servizio dei vini in un ristorante e via dicendo.

Quale istituzione può garantire tale percorso deontologico, etico e morale se non un’associazione professionale? È lei a stabilire i corretti parametri per valutare e giudicare meriti e bravura, per far accrescere la qualità della nostra professione e classificare al meglio i barman professionisti. È ovvio che si parla di associazioni no profit con obiettivi di questo tipo visto la tendenza oggi a diventare commerciali e aziendalisti, in caso contrario non avrebbe senso. Lancio un appello a tutte le associazioni di Solidus per discutere attorno a questo argomento.

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Alberto Lupini


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