La condivisione al tempo dei social

Durante il mio lavoro mi ritrovo spesso ad osservare persone sedute al tavolo non scambiarsi una parola. Sono lì, con i loro smartphone a fotografare qualunque cosa o dettaglio sia alla loro portata

13 novembre 2018 | 08:35
di Marco Reitano
È naturalmente una situazione al limite, dove il commensale frequenta di proposito ristoranti di livello non per l’esperienza enogastronomica in sé ma per il semplice gusto di informare la “rete” e poter dire: «Anche io ci sono stato!». La riflessione è in realtà su quanto i social network influiscano nella scelta di un ristorante piuttosto che un altro e quanto le persone tendano a “condividere” durante un pranzo o una cena.



Il vocabolario riporta la seguente definizione: «Social: che utilizza la rete come luogo di condivisione e scambio di informazioni ed esperienze». Una volta il “sociale” rappresentava per lo più un momento di incontro, dove le persone potevano conversare e condividere dei momenti, ben diverso dal veloce scambio di battute che può avvenire sui social network e che può essere fuorviante per l’utente finale.

Attenzione: i social network, se utilizzati nella giusta maniera, rappresentano uno strumento efficace per stimolare le menti e diffondere concetti culturalmente validi. Diventano però un’arma a doppio taglio quando raccontano un momento decontestualizzato da tutto il resto. Mi riferisco alle tante volte in cui, attraverso una foto o un post, viene criticato o minimizzato il lavoro di uno chef, di un sommelier o di un maître, senza che si possa percepire la situazione reale in cui la stessa foto è stata scattata o quel post è stato scritto.

La condivisione parte innanzitutto dal partecipare attivamente ad un momento. Le persone che lavorano in sala hanno come obiettivo quello di far vivere al commensale un’esperienza da poter ricordare, trasmettendo la loro professionalità e abilità nel settore. Questo passa dalla descrizione dettagliata di un piatto al racconto della storia della bottiglia che si sta per stappare. A volte - ed è il momento più gratificante per il nostro lavoro - il commensale ci ascolta, ci fa domande e si interessa attivamente a quello che gli viene suggerito. È bello scambiarsi opinioni, capire chi si ha di fronte, creare una connessione e far sì che il cliente si alzi da tavola con “un’esperienza da ricordare”. Ci aiuta a comprendere i suoi gusti e ad offrirgli un’esperienza “su misura”.

Troppe volte invece il commensale durante la presentazione di un vino ci interrompe per chiederci di avvicinare la bottiglia e fotografare l’etichetta. Troppe volte i piatti vengono degustati freddi perché prima devono superare 5 minuti di “set fotografico”... Dov’è finita la magia del momento, l’esperienza vera? Vi aspettiamo al ristorante, grazie.

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Alberto Lupini


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