Mescolare due culture tra i fornelli La filosofia di Yoji Tokuyoshi

25 marzo 2016 | 15:09
La parola allo chef Yoji Tokuyoshi (nella foto), ad oggi chef patron dell’omonimo ristorante milanese. La sua storia è una bella variante del film “Sliding Doors”: ma qui non siamo in un film, qui parliamo di un uomo vero con una talmente profonda passione per la cucina da prendere, mollare tutto, lasciare il Giappone, la sua terra, e volare in Italia alla ricerca di un’occupazione nel mondo dell’enogastronomia.


Nella foto: Yoji Tokuyoshi

Le insoddisfazioni, appena arrivato, non mancano. «Inizio una scuola per imparare l’italiano e invio richieste su richieste ai ristoranti chiedendo lavoro: sia chiaro, ero disposto anche a lavare i piatti. Nessuna risporta. I soldi finiscono e nessuno mi ha offerto la benché minima opportnunità. Non mi resta che comprare il biglietto aereo per tornare a Tokyo». Ma è proprio prima di partire che, sfogliando la guida de L’Espresso, l’occhio dell’ancora giovane chef cade sul paragrafo dedicato all’Osteria Francescana, al tempo non ancora così acclamata. Telefona e a rispondere è Bottura, ed è sempre lo chef oggi tristellato ad offrirgli quella speranza tanto aspettata.

Così getta il biglietto, non parte, e si trasferisce in Italia. «Ho passato molti anni alla Francescana di Bottura; all’inizio lavavo anche i piatti, ma dopo tre anni ero già diventato il suo vice». Tante le soddisfazioni, altrettanto l’impegno, giustificate e comprensibili le ambizioni, che hanno portato Tokuyoshi ad aprire il suo locale a Milano. E cosa fa lo chef giapponese nel suo locale? «Io non faccio cucina fusion: la mia è una cucina italiana contaminata. Non mescolo i sapori della cucina italiana con quella giapponese, metto insieme due culture, non due sapori».



Un esempio che bene rappresenta e sintetizza la sua cucina è indubbiamente lo Sgrombro Gyotaku. «In Giappone quando si pesca un pesce, non per mangiarlo ma per esibirlo come trofeo, lo si cosparge d’inchiostro e poi lo si “stampa” su carta per appenderlo alla parete. Ecco, il mio Sgombro Gyotaku è stampato sul piatto, ma quello che mangi è un ottimo sgombro italiano». Una contaminazione molto creativa, che vuole accomunare due cucine secondo lo chef non troppo distanti tra di loro, com’è ad esempio per la preparazione di un piatto: sia la tecnica italiana che quella giapponese prevedono un cucinare in una sola pentola, a differenza ad esempio di quella francese, che «per fare un piatto utilizza due, tre, quattro pentole. Noi e voi affidiamo a una sola pentola l’idea di cucina».

E così nascono piatti eccellenti come il “Coda, coda”, la coda alla vaccinara insieme alla coda di rospo, carne e pesce come due anime fuse insieme; e ancora il “Cacciatore, pescatore”, dove il cervo di montagna sposa la ricciola di mare. E quando i clienti assaggiano questi piatti e commentano «Qui è come essere in Giappone ma con i nostri sapori», grande è la soddisfazione nel cuore dello chef.



E tutto questo, questa eccelsa mescolazione di ingredienti e di cucine, è riservata a una trentina di coperti alla volta, pochi, ma il giusto numero per far sì che il servizio sia inappuntabile, così come lo è lo stile in cucina: un così alto livello da portare al ristorante la prestigiosa Stella Michelin. E così Tokuyoshi continua la sua avventura, regalando emozioni ai palati di milanesi e non solo, con una semplice filosofia di fondo: «Sono diventato italiano, ma sono nato giapponese. E non lo dimentico mai».


Ristorante Tokuyoshi
via San Calocero 3 - 20123 Milano
Tel 02 84254626
www.ristorantetokuyoshi.com
info@ristorantetokuyoshi.com

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Alberto Lupini


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