Ddl concorrenza, rivalsa degli albergatori Sì a tariffe più basse rispetto a Booking

03 agosto 2017 | 10:11
Con 146 sì contro 113 no il ddl concorrenza è diventato ieri ufficialmente legge. Tra gli ambiti sottoposti a revisione anche quello dell'hotellerie, e il risultato è la cosiddetta legge anti-Booking, che cancellando le clausole del parity rate, permette agli albergatori di proporre prezzi e condizioni migliori rispetto a quelli offerti online dai diversi mediatori.



Ad esultare è Federalberghi, che vede nella nuova normativa un successo: «Non abbiamo mai detto che è una legge anti-Booking - spiega Bernabò Bocca, senatore e presidente di Federalberghi - che invece è un partner molto importante e un canale del quale gli alberghi spesso non possono fare a meno. Abbiamo però chiesto di essere nelle stesse condizioni rispetto ai nostri competitor di Francia e Germania».

I vantaggi non li trarranno soltanto gli albergatori, che da oggi potranno entrare in competizione con il sistema Booking, ma soprattutto i clienti: si deve infatti pensare che la commissione media degli Ota (online travel agency) è intorno al 20%, mentre una prenotazione che arriva al sito dell'albergo ha zero costi di intermediazione. In sostanza, «se il prezzo si abbassa del 10%, c'è un risparmio per il cliente e per l'albergatore», chiarisce Bocca. Una legge che Federalberghi non definisce né positiva né negativa, quanto piuttosto necessaria, una legge che «dopo tre anni - continua il presidente dell'associazione - aveva bisogno di essere rivista».

Sull'eliminazione delle clausole del parity rate, si è espressa anche Confcommercio Toscana. «Per le grandi catene alberghiere è una buona opportunità per imparare a disintermediare, svincolandosi dai portali di prenotazione che oggi fanno il bello e il cattivo tempo sul mercato turistico e si incamerano una buona fetta dei guadagni. Ma per i piccoli alberghi cambia poco o nulla, perché appoggiarsi ad un portale li aiuta a vendere garantendo loro una visibilità che difficilmente potrebbero ottenere da soli», così commenta la presidente di Confcommercio Toscana Anna Lapini.


Anna Lapini

«Molti considerano questo risultato - continua - come una vittoria sulle politiche vessatorie di certe Ota nei confronti degli hotel. Purtroppo non è così semplice e non basterà a migliorare l'offerta turistica italiana online né ad eliminare la concorrenza sleale. In fondo, c'è un motivo se molti utenti preferiscono prenotare sui portali di prenotazione come Booking.com anziché su quelli degli alberghi: sono incomparabilmente più intuitivi, immediati e facili da usare. Hanno, insomma, una "usabilità" che è frutto di investimenti di decine di milioni di euro, impensabili per le singole imprese alberghiere».

Secondo Confcommercio, l'abolizione della parity rate in Toscana apre quindi due diversi scenari: «Da un lato le strutture alberghiere piccole, magari situate in luoghi meno conosciuti, per farsi trovare dagli utenti nel mare magnum delle offerte online o continueranno a dipendere dalle Ota oppure dovranno attrezzarsi a fare da sé, districandosi tra meta motori, pubblicità, formazione del personale e, purtroppo, grandi budget. Le altre strutture più grandi, o situate in destinazioni di sicuro appeal come la stessa Firenze, potranno giocare a maggior ragione la carta della disintermediazione, investendo risorse e capitale umano nella ricerca di nuovi strumenti per promuovere e vendere le camere».

«Di sicuro - conclude la presidente di Confcommercio Toscana - la scomparsa della parity rate farà piacere ai consumatori, ai quali potrebbe offrire ulteriori opportunità di sconto sulle tariffe, Ma li invitiamo a fare attenzione: la corsa al ribasso non ha mai portato bene in nessun settore economico, dalla moda al turismo. Dietro ad un prezzo troppo basso si nascondono spesso diritti e doveri mancati, evasione fiscale, inosservanza delle leggi sul lavoro, sfruttamento e via così. Chi crede nella costruzione di un turismo sostenibile deve credere anche nella determinazione di un prezzo giusto che ripaghi equamente ciascuno per il lavoro che fa».

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Alberto Lupini


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