Dominique Crenn, tristellata negli Usa Unica a riuscirci, simbolo dei nostri tempi

Dominique Crenn è la prima chef donna ad aver conquistato le tre stelle Michelin negli Stati Uniti con il suo ristorante Atelier Crenn. Oltre a lei, nel mondo, sono solo quattro le colleghe che sono riuscite nell’impresa

04 dicembre 2018 | 12:23
Le altre sono Anne-Sophie Pic (Maison Pic di Valence), Elena Arzak e le italiane Nadia Santini (Dal Pescatore) e Annie Feolde (Enoteca Pinchiorri) La storia di Dominique è una di quelle che non può che arrivare dagli Stati Uniti e che non possiamo non pensare che arriverà in Italia, o comunque in Europa, nel giro di dieci anni. Oltreoceano anticipano sempre i tempi di un decennio e dobbiamo guardare là per capire che cosa sarà del futuro del nostro Paese.


Dominique Crenn

"Bretone e quindi con attenzione innata per le ostriche, ma anche elegante come saprebbe esserlo una parigina (anzi di Versailles)" avevamo scritto a marzo 2016 quando la cuoca fu protagonista al Bulgari Hotel Milano per una serata con Roberto Di Pinto. Quella sera "Domenique Crenn ha stupito a Milano per la raffinatezza e la riuscita di piatti ricercati ed equilibrati nei gusti e nelle consistenze".

E allora ecco che le tre stelle sono un omaggio non solo alla sua cucina, ma anche alla capacità di Dominique di essere perfettamente calata nei tempi fino a diventarne, probabilmente un simbolo. Donna capace di affermarsi prima di tutto, e poi omosessuale e attivista indomita ma anche autodidatta. Tutti temi caldissimi nella società mondiale di oggi e che stanno vivendo - finalmente - un momento di rottura col passato.

Come si evince dalle sue generalità la tristellata è arrivata in California dalla Francia negli anni ‘80 lavorando per un ristorante leggendario, Star sotto l’estro di Jeremiah Tower, chef-pioniere che insieme ad Alice Water inventò il nocciolo di quello che è oggi definita “cucina californiana”.

Dopo la “gavetta”, apre Atelier Crenn, nel 2011, portando nel locale il suo spirito a partire dal menu, declinato quotidianamente come una poesia. C’è sempre poca carne e mai pollo, perché nella sua cucina non si tollerano trattamenti “sospetti” sugli animali, ed è la chef che cura personalmente i rapporti con i suoi fornitori, esplorando le fattorie della zona. Anticipatrice dei tempi, si diceva.

«Alla fine della giornata - ama dire lei - non è il talento degli chef che determina la bontà di un piatto ma è la bravura di chi ha coltivato i prodotti che mangiamo. I contadini, sono le vere rockstar».

Di sé, come riporta Vanity Fair, racconta: «Mia madre era un’ottima cuoca, mio padre, invece, non sapeva cucinare. Da quando ero piccola, ero affascinata dall’idea di diventare una chef. Ho una laurea in economia. Non sono mai stata in una scuola di cucina. Per questo quando faccio dei colloqui per persone che vorrebbero lavorare con noi non guardo mai il curriculum. Quello è un pezzo di carta che non dice nulla delle persone. Quello che cerco è la loro onestà, la loro vulnerabilità. Cerco qualcuno che sia affamato di imparare. Non tutti hanno l’abilità, non tutti capiscono come si deve cucinare. Ma una cosa devono sapere: come si mangia».

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Alberto Lupini


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