Home restaurant, futuro ancora incerto Il ddl può essere migliorato

07 febbraio 2017 | 16:42
di Guido Gabaldi
La sharing economy avanza, ma non ci sono ancora certezze per i consumatori. E non solo in Italia. Questo è quanto è emerso in occasione dell’incontro presso la Scuola comunale di via D’Annunzio a Milano, organizzato da “Collaboriamo!”, associazione attiva nel campo dell’economia collaborativa. “Home restaurant: quale futuro?”: chiaro il titolo, un po’ meno le prospettive. Ne erano convinti anche i relatori: l’on. Azzurra Cancelleri (M5S), l’on. Antonio Palmieri (FI-PDL), l’on. Veronica Tentori (PD), Luisa Crisigiovanni, segretario generale Altroconsumo, Cristiano Rigon, founder Gnammo, Esther Giacomoni, country manager Italia VizEat, e Alessandro Tommasi, policy maker AirBnb.



La condivisione (in crescita) degli alloggi in concorrenza con gli alberghi, delle automobili in concorrenza con i taxi e del cibo in concorrenza con i ristoranti è sotto gli occhi di tutti, ma per evitare il “far west” ci vorrebbe una regolamentazione statale in grado di dare certezza sia ai professionisti sia ai consumatori. Almeno per l’home restaurant, forse ci siamo: infatti, è stato di recente approvato da parte della Camera il disegno di legge per disciplinare “l’attività di ristorazione in abitazione privata”, ovvero la possibilità di organizzare cene, prenotabili sul web, all’interno di case private. Ovviamente sono ancora possibili modifiche in Senato prima dell’approvazione definitiva.

«In mancanza di una legge - ha precisato l’on. Azzurra Cancelleri (M5S) - l’home restaurant sarebbe tenuto ad osservare le norme relative alla ristorazione professionale vera e propria, e questo non sembra giusto, dato che il nostro obiettivo era circoscrivere un’attività che deve rimanere occasionale. Questa legge, il cui iter è stato finora piuttosto veloce, vuole mettere qualche punto fermo: come prima cosa, è previsto l’obbligo di acquisire i pagamenti esclusivamente online tramite piattaforme come Gnammo. Le transazioni online sono tracciabili e permettono così di evitare l’evasione fiscale e i rischi che il fenomeno sia associato all’economia sommersa. Poi, dopo ampia concertazione in aula, si è rimosso il comma relativo alle argomentazioni Haccp, delegando al ministero della Sanità la determinazione dei requisiti cui deve rispondere il cuoco per esercitare l’home restaurant».

«Sicurezza sì, insomma - ha proseguito Cancelleri - ma non può essere allo stesso livello di quella obbligatoria per il professionista. Ancora, la legge prevede che la piattaforma verifichi che l’utente “operatore cuoco” abbia una copertura assicurativa, anche erogata dalla piattaforma stessa, per la responsabilità civile presso terzi. Infine la legge pone il limite di 500 coperti e di 5.000 euro di proventi all’anno: se si superano, si ricade nella normativa generale della ristorazione».

E qui cominciano i chiaroscuri: le persone presenti alla conferenza, molte delle quali impegnate in prima persona nella sharing economy, hanno chiesto una serie di chiarimenti in merito: cosa vuol dire 5.000 euro, saranno netti o lordi? Quali sono le spese che si possono dedurre? Lo scontrino del macellaio? E la benzina per andare a fare la spesa, quella no?

«Il limite basato sui 5.000 euro non l’abbiamo capito neanche noi», ha fatto eco Luisa Crisigiovanni, segretario generale della più grande associazione di consumatori in Italia, Altroconsumo. «Se l’obiettivo della legge è la regolamentazione di un’attività che deve restare occasionale, basarsi sul numero di coperti annuali è più che sufficiente. Manca totalmente, e invece noi l’avevamo chiesto, qualsiasi forma di incentivo fiscale per chi intraprenda un’attività di sharing economy: ciò vuol dire che si fanno le norme a compartimenti stagni, senza pensare allo sviluppo dell’economia. In un settore come questo un occhio di riguardo al futuro era auspicabile, dato che i consumatori ci credono fortemente: da un sondaggio da noi effettuato, risulta che otto consumatori su dieci sono soddisfatti dei servizi ricevuti in regime di sharing economy».



Cristiano Rigon, fondatore della piattaforma di social eating “Gnammo”, è d’accordo almeno in parte: «Condivido in pieno quanto detto sui 5.000 euro. Detto ciò, una norma imperfetta è comunque meglio del vuoto attuale. Manca ancora l’approvazione da parte del Senato: alla fine, spero si riesca ad ottenere una legge agile e snella, rispondente ai suggerimenti dell’Ue di non promulgare norme che limitino, ma che favoriscano lo sviluppo del mercato del social eating, limando ancora i forti vincoli presenti nel testo approvato oggi alla Camera».

«Qualche problema nel testo attuale lo vedo anch’io», ha dichiarato l’on. Veronica Tentori (PD). «Ad esempio, dobbiamo tener conto delle normative regionali sui bed & breakfast, per evitare sovrapposizioni e zone d’ombra con attività confinanti con la (cosiddetta) “ristorazione privata”. E poi avrei preferito che venisse definita prima una normativa quadro sulla sharing economy, negli aspetti condivisi da tutte le attività, per poi scendere, se e dove necessario, a specificare i paletti da mettere nei singoli settori. Era il percorso più logico».

Ma la logica non sempre si accorda con le scadenze parlamentari e con le esigenze dei gruppi sociali, dai ristoratori ai consumatori passando da tutti gli altri attori della sharing economy. Per cui si può senz’altro condividere che una qualsiasi regolazione del mercato sia comunque da apprezzare, anche perché in Italia saremmo abbastanza all’avanguardia, almeno in questo settore: gli altri Paesi dell’Ue non hanno neanche iniziato a mettere ordine, a livello legislativo.

Ma ci vuole una bussola e una direzione, per regolare il mercato: e questo forse non emerge ancora chiaramente, ed anche questo dibattito sulla nuova legge per gli home restaurant fa capire che ci si accontenta di una serie di norme: è meglio del nulla. Per la chiarezza e l’armonizzazione con l’intero quadro normativo, invece, ci vorrà più tempo e fatica.

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Alberto Lupini


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