In sala con... Giovanni Sinesi «Non siamo robot, in sala ci vuole cuore»

Giovanni Sinesi è nato a Barletta nel 1984, è al fianco di Cristiana e Niko Romito (soci Euro-Toques) dal 2004 quando, appena diplomato all’Istituto alberghiero di Roccaraso, entra nel vecchio Reale, a Rivisondoli (Aq)

11 aprile 2018 | 18:08
di Gabriele Ancona
«Ho iniziato al Reale per non partire militare - racconta Giovanni Sinesi - ma nel 2006, dopo uno stage al ristorante Da Caino con Maurizio Menichetti, mi sono perdutamente innamorato del vino». Il suo approccio alla sommellerie mira prima di tutto ad accompagnare e valorizzare la cucina del Reale, 3 stelle Michelin a Castel di Sangro.

Come interpreta l'accoglienza e il rapporto con la clientela?
Accoglienza, per me, vuol dire far sentire le persone a proprio agio in un ambiente che non necessariamente conoscono. L’accoglienza è per certi versi una vera e propria arte, che si fonda sull’autenticità di tutte le azioni messe in atto per renderla quanto più piacevole ed emozionante possibile. Il padrone di casa, o chi ne fa le veci, deve rimanere sé stesso e fedele alla propria personalità nell’introdurre gli ospiti nel suo mondo e accompagnarli durante il loro percorso. Così facendo si stabilisce un rapporto quasi confidenziale, vero, che supera la distanza della “non conoscenza” e instaura un dialogo che gioca un ruolo fondamentale nel definire l’esperienza globale del cliente.


Giovanni Sinesi

Noi di Sala, un'associazione che si sta sempre più strutturando: cosa è cambiato negli ultimi anni?
Sono cambiate molte cose. L’associazione è cresciuta molto sviluppando corsi di formazione sempre più specifici, partecipando a congressi dedicati al tema dell’accoglienza e, non ultimo, aderendo al progetto di Alta formazione di sala “intrecci”, ideato e creato dalle sorelle Dominga Marta ed Enrica Cotarella, con lezioni dedicate. È indubbiamente un progetto professionale importante e anche divertente, lo farei anche io.

Quali consigli si sente di dare a chi si sta avviando alla professione di sommelier?
Leggere, studiare, girare, bere, capire veramente ciò che si sta degustando, cosa il vino in quel momento esatto ci sta raccontando. Degustare tanto al buio, solo così possiamo realmente esprimerci su ciò che siamo senza guardare le etichette. Lo studio continuo fatto con passione, umiltà e costanza alla fine ripaga sempre.

Come si organizza il rapporto con la squadra in un ristorante di alto livello?
Per quanto riguarda la nostra squadra, siamo sempre alla ricerca di gente motivata, che crede in quello che fa o in un progetto, perché per organizzare una squadra che sia performante al massimo e perfettamente in equilibrio ci vogliono pazienza, costanza e volontà. Nel nostro mondo penso che tutti possano fare i camerieri una volta apprese le tecniche di servizio e il modo di lavorare di ogni azienda. Dov’è la differenza? Sul lavoro di sviluppo della sensibilità delle persone; è quello che con Cristiana Romito e il gruppo Casadonna portiamo avanti da sempre e perseguiamo come obiettivo.

Punti di forza e zone d'ombra del servizio.
Il lavoro di sala è un lavoro di squadra, una squadra che cresce insieme giorno dopo giorno seguendo la stessa direzione e lavorando perseguendo un obiettivo condiviso: il cliente e la sua soddisfazione. Si diventa molto più che colleghi di lavoro, si è amici e complici, consapevoli che il successo o l’insuccesso di un servizio è responsabilità di tutti quanti. La coesione del team di sala è un punto di forza importante, infonde sicurezza in ogni membro e si riverbera nella percezione dei clienti. In sala bisogna applicare il senso della vista, che significa “guardare”. La maggior parte delle volte le persone vedono, ma non guardano; c’è molta differenza. Guardare significa catturare tutto ciò che succede in sala, dalla caduta di un tovagliolo o di un grissino, ai clienti che sono mancini. Viviamo di sfumature, che fanno la forza del nostro servizio in sala e valorizzano il vino che proponiamo. Al contrario, le zone d’ombra sono la superficialità e l’essere presuntuosi. E soprattutto non bisogna mai trasformarsi in robot. Siamo esseri umani, fatti di cervello, occhi, naso, orecchie, ma soprattutto cuore.

PER APPROFONDIRE...
La cantina ideale
«È quella che ti rappresenta - spiega Sinesi - nelle scelte, nei gusti. Non scontata, ma con personalità. È una cantina che segue la tua filosofia di pensiero, costruita nel tempo e con l’esperienza. Deve anche essere connessa alla filosofia della cucina. Inutile riempirla di vini che fondamentalmente non sposano tutti questi elementi. Ricordiamo poi sempre che comprare vino è un investimento».

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Alberto Lupini


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