Il mestiere del cameriere Essere parte di un'orchestra
Il curriculum di un cameriere non è una partita a Risiko, non contano le brevi esperienze per il mondo: ciò che conta è crescere in un luogo e lì rendere perfetto un servizio che sia "nostro", di tutta una brigata
17 marzo 2018 | 09:55
di Marco Reitano
Mi sembra ci sia una gran corsa al curriculum: persone che saltano da una città all’altra, da un Paese all’altro senza sosta. Tre mesi a New York e 6 a Parigi, 1 anno a Torino e 1 a Roma, Amsterdam e Tokyo… Va bene tutto, ma il più bravo non è colui che mette più bandierine. Non stiamo giocando a Risiko, stiamo imparando un mestiere, e… ok essere dinamici ma non basta, non serve questo “saltellare” da un posto all’altro per imparare un lavoro così complesso come quello del cameriere.
Il nostro lavoro è fatto di strade lunghe, di anni intensi, di clientela da conoscere, da viziare, da capire. È chiaro che l’esperienza conta molto, che 6 mesi di esperienza all'Eleven Madison Park valgono moltissimo, ma cosa si è fatto in questi 6 mesi, cosa realmente si è appreso? E perché al sesto mese siamo dovuti partire?
Ciò che voglio dire è che, è giusto fare esperienza, è giusto fare esperienza in tanti luoghi anche in quelli più importanti del nostro settore, ma non basta. Questo non è un percorso professionale ma un’infarinatura iniziatica ad un lavoro molto più complesso. Il mestiere di cameriere, lo si apprende negli anni, lavorando nel team, scoprendo i pregi e i difetti dei colleghi. Imparando a convivere con un capo magari molto autoritario, imparando a farsi ben volere, a lavorare in gruppo e a vivere il lavoro nella sua totalità, non sentendosi solisti ma parte di un’orchestra.
Solo così è possibile arrivare alla perfezione di un servizio che non sarà mai “mio” o “suo” ma sempre “nostro”, dove sala e cucina sono tutt’uno e il singolo non ha valore se non insieme al resto. Credo molto in questo, forse è per ciò che lavoro a La Pergola dal 1994?
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Alberto Lupini