Ristorazione, i tempi cambiano E i luoghi comuni, invece?

Menu con nomi poco chiari e poi si parla di semplicità; ristoranti blasonati che poi esci e hai ancora fame; giornalisti che più che professionisti sono clienti non paganti. Luoghi comuni tanto storici quanto attuali

26 marzo 2019 | 10:03
di Guerrino Di Benedetto
Ormai da anni si dice che il cibo è cultura, che il cibo è parte integrante della storia dell'uomo, che la ristorazione è arte e intrattenimento, gli chef sono delle star che fanno proseliti come i vecchi santoni indiani e i giornalisti seguono a ruota.



Ho riletto con piacere in questi giorni la raccolta di aforismi e pensieri di Karl Kraus, dal titolo “Essere uomini è uno sbaglio”, lettura che consiglio a tutti - del resto gli aforismi ci aiutano a capire alcuni aspetti della vita che a volte ci sfuggono o che non capiamo del tutto.

Un aforisma/capitolo così titola: “A Vienna si vive per mangiare, ma si ha fame”, vi ho trovato molte similitudini con alcune abitudini gastronomiche di tante grandi città, di tante imprese che si perdono nei mille rivoli di format e di idee spesso solo fotocopie. Il nostro poeta e drammaturgo dalle battute al vetriolo descrive così la ristorazione del suo tempo: “Ma come si fa a tirare avanti se la carne di manzo diventa sempre più cara e la vedova sempre più allegra?”. Bellissima descrizione cultural-gastronomica di quella Vienna della decadenza che si trovava sotto la scure della crisi post-bellica e gli albori del nazismo; quindi il parallelo fra il costo della vita e la spensieratezza suicida della nostra Europa, preda di rivoluzioni e sale da ballo, si sentiva anche nella cucina del tempo.

Ma la parte più bella è quella dedicata ai fantasiosi nomi delle pietanze, abitudine che continua ancora oggi in molti menu di cuochi blasonati. Dice il nostro Karl: "Solo a Vienna, solo in un centro di cultura una semplice prima colazione, composta da caffè, burro e uova prende improvvisamente il nome di Colazione Pruckl”. Mi capita spesso di leggere nomi di piatti che evocano solo la chiamata urgente del cameriere per una delucidazione, poi però nelle interviste tutti parlano di “semplicità”. Ma tra i tanti aforismi che ho letto quello che forse rappresenta bene un po' l'animo di molti “devoti” ristoratori e non solo, ma anche un certo servilismo italico è questo: “Ci sono individui che vengono tollerati nei locali pubblici solo perché non pagano. Li chiamano giornalisti”. Se mi permettete la trovo molto attuale però lascio a voi cari lettori l'ardua sentenza e la libera interpretazione di questo.

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Alberto Lupini


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