Sacrificio e tanta passione Due segreti per diventare bartender

Mix, acrobazie ed emozioni a ogni sorso: si potrebbe riassumere così la professione del bartender. Il ruolo del miscelatore di alcolici non è assolutamente un lavoro per gente improvvisata richiede studio, passione e molta pratica, ma in palio ci sono molte soddisfazioni sia da un punto di vista prettamente professionale che, anche, da un punto di vista personale

13 aprile 2019 | 09:29
La premessa è essere disposti, nonostante tutti gli sforzi, ad amare la materia, il contatto diretto con il pubblico e la vita notturna. Ma come si diventa bartender professionisti? Come si arriva ad aprire un proprio locale con un’offerta di cocktail davvero originale?


Emanuele Capelli

Per queste ed altre curiosità ci siamo rivolti a Emanuele Capelli: giovane bartender di talento che da qualche anno ha aperto il suo locale, Hobos Bar, nel cuore del centro storico di Cremona.

Perché la scelta del nome “Hobos” per il tuo locale?
La scelta di Hobos è avvenuta quasi per caso. Stavo cercando una parola in grado di rappresentare il mondo dei cosiddetti “backpackers” (i viaggiatori con lo zaino, ndr) - molto famosi nel continente americano e australiano - quando mi sono imbattuto nella parola Hobos, ed è stata attrazione a prima vista. Negli ultimi anni, infatti, ho viaggiato molto, spinto dal piacere di conoscere nuovi posti, nuove culture e nuove persone.

Dove hai vissuto in questi ultimi anni e quali esperienze ti hanno portato a diventare bartender?
Ho vissuto in Spagna - prima a Madrid e poi a Malaga - a Miami e in Australia. Tutti luoghi che mi hanno arricchito moltissimo, anche se è stata l’esperienza in Australia quella che mi ha cambiato in modo più radicale, portandomi alla decisione di diventare a tutti gli effetti un bartender.



Chi è stato il tuo insegnante/mentore?
Ho avuto il privilegio di lavorare con numerosi professionisti, ma due colleghi in particolare sono stati davvero importanti per la mia carriera. Il primo è un ragazzo di Cremona che oggi vive a Torino, Dennis Zoppi. Non solo insegnante ma anche maestro di vita. Lo seguo molto e cerco sempre di trarre ispirazione dalle sue creazioni. È un bartender straordinario.
L’altra figura a cui devo molto è il mio ex manager australiano, con il quale ho lavorato per quasi 2 anni, insegnandomi ogni segreto per essere più professionale e preciso nel mio lavoro.

Quanto è importante in questo mestiere “sperimentare”?
Sperimentare è ciò che rende il mestiere di bartender così interessante. Questo perché stiamo parlando di un lavoro che non si svolge solo davanti alla clientela, ma è fatto, soprattutto, di costanti ricerche dietro le quinte del proprio bancone.

Qual è il tuo cocktail preferito e quale la storia che ti lega a questa bevanda?
Il mio cocktail di maggior successo è senza dubbio Namasté: una bevanda a base di gin infuso allo zafferano, Dom Benedectine, Cointreau, arancia, limone e un’essenza di bergamotto. Inventato 4 anni fa durante la mia esperienza in Australia, Namasté è il frutto del mio rapporto d’amore con il Dom Benedectine, un liquore francese molto aromatico a base di erbe. Volendo trovare un modo interessante per inserirlo all’interno di una mia ricetta, ricordo che lo chef con cui lavoravo stava utilizzando dello zafferano. Da lì l’idea di inserirlo in infusione nel gin e, dopo svariate prove e combinazioni, ho trovato un gusto così fresco ed esotico da “riappacificare i sensi”: da qui il nome Namasté.



Quando si parla di cocktail, cosa è più importante fra la conoscenza dei prodotti e l’istinto dettato dal gusto?
Per quanto mi riguarda, è fondamentale conoscere i prodotti che si adoperano. Maggiori sono i prodotti che conosciamo, maggiori sono le combinazioni e le idee che possiamo creare per il prossimo cocktail.

Un consiglio per coloro che desiderano diventare bartender come te?
Risponderò con una citazione molto bella, sentita una volta da un collega: “Passione”. Ritengo sia importante capire per cosa si è portati e pronti a fare sacrifici. L’esperienza sì aiuta, ma è la passione quella che ti sostiene davvero.

Quale cocktail consiglieresti a un astemio, un diabetico e al cliente più esigente?
A un diabetico consiglierei di approcciare a distillati privi di zuccheri come whisky o rum (salvo rare eccezioni). Visto che noi bartender siamo alchimisti oltre che psicologi, chiederei al cliente più esigente di fidarsi del professionista che ha davanti e lasciar che costruisca per lui il cocktail più adatto alla sua persona. Beh, per quanto riguarda l’astemio, citerei una celebre frase di Baudelaire: “Chi beve solo acqua, ha un segreto da nascondere”.

Per informazioni: www.hobosbar.it
www.jacleroi.com

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Alberto Lupini


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