In sala con... Matteo Zappile «Condurre gli ospiti sul binario giusto»

Da 7 anni chef sommelier a Il Pagliaccio di Roma, Matteo Zappile da un anno è il restaurant manager del locale bistellato. La guida dei ristoranti dell’Espresso 2017 lo ha eletto Miglior sommelier d’Italia

18 novembre 2017 | 09:11
di Gabriele Ancona
Una carriera intensa e precoce, inaugurata frequentando la scuola alberghiera di Salerno. Matteo Zappile a 14 anni è già a Cortina d’Ampezzo (Bl): porta la colazione ai piani all’Hotel Bellevue. D’inverno la scuola e via così, alternando studio ed esperienze di lavoro. Un mosaico professionale costruito con pazienza e determinazione. A 21 anni conquista i galloni di maître responsabile dei banchetti in un albergo a 4 stelle. A seconda delle circostanze gestisce una brigata che oscilla tra i 20 e i 40 addetti. Una responsabilità complicata in cui le ossa o te le fai o te le rompi.


Matteo Zappile e Anthony Genovese

Matteo regge l’urto e invia il curriculum all’Hotel Palazzo Sasso, cinque stelle lusso di Ravello (Sa), in costiera Amalfitana. Inizia come commis e dopo tre mesi è demi chef de rang. Inizia a studiare il vino e diventa assistente sommelier. Allarga gli orizzonti in Inghilterra e, tornato in Italia, a 25 anni è capo sommelier al Grand Hotel Continental di Siena. Si diploma al Bibenda Executive Wine Master e nell’estate del 2010 è di nuovo a Ravello, al Rossellinis.

In novembre approda a Roma presso Il Pagliaccio, da Anthony Genovese, due stelle Michelin. Oggi Matteo Zappile ha 33 anni. Nel 2014 la sua carta dei vini riceve il premio come Miglior carta delle bollicine d’Italia per l’Espresso. Diventa degustatore ufficiale italiano di caffè Inei (Istituto nazionale espresso italiano), poi docente per l’Ais (Associazione italiana sommelier). Nel 2016 arriva la qualifica di sommelier del sakè per la Sake sommelier association. È segretario generale dell’associazione Noi di Sala.

Qual è un elemento fondamentale che caratterizza l’arte di un sommelier?
A mio parere, un sommelier deve essere in grado di condurre con garbo ed equilibrio i suoi ospiti su un binario giusto. Il che significa, per esempio, proporre a una coppia non più giovanissima, senza urtarne la sensibilità, un vino o una bevanda non troppo impegnativi. Bisogna saper immaginare il “dopocena”. Quando la clientela esce dal ristorante deve essere appagata e in grado di continuare la serata. Questo ovunque, figuriamoci in una città come Roma. Oggi i piatti che escono dalla cucina sono tutti equilibrati e il vino ha perso quella funzione di bilanciamento che poteva rivestire in passato. Deve accompagnare un percorso di benessere. Chi esce sereno, magari torna...

Una forma di accoglienza che prevede addirittura il “dopo ristorante”! Siamo ai vertici. E in sala?
Bisogna sempre considerate che ogni cliente è a sé. Ogni tavolo è unico. A livello di fantasia, mi piacerebbe far frequentare alla brigata di sala (a Il Pagliaccio sono in 5, più Matteo Zappile, ndr) un corso di teatro, non perché si debba recitare una parte, ma per calarsi sempre più in profondità nella situazione e saper interpretare ogni tavolo in quanto rappresenta una storia. Il cliente è il protagonista e noi di sala siamo al suo fianco.


Il personale di sala de Il Pagliaccio

Il tavolo va capito. La sala riveste quindi un ruolo nevralgico?
Un ruolo fondamentale, che va oltre quello della cucina. In sala un errore non ha margini di recupero. Le aspettative della clientela sono enormi e vanno sempre soddisfatte. Non tutti i tavoli partono poi con il piede giusto. Capita magari che una coppia arrivi al ristorante, diciamo, con il broncio. Si può servire un piatto capolavoro, ma se la mente è distratta e pensa ad altro quella elaborazione gastronomica non verrà capita. A noi il compito di smussare gli angoli e aggiustare le situazioni, con tatto ed equilibrio. Un esercizio di stile che allontana le nuvole e riporta il sereno.

Quali strumenti professionali ritiene fondamentali?
Oltre alla divisa, che va saputa vestire con naturalezza, la carta dei vini è uno strumento di comunicazione spesso non presentato in modo funzionale. Deve essere leggibile, certo, ma incompleta. Deve suscitare curiosità. Se vi è già scritto tutto, il cliente si perde nel leggere e chi lo accompagna rischia di annoiarsi. Il compito del sommelier è quello di spiegare e raccontare, mantenendo viva l’attenzione di tutti i commensali. La carta va quindi completata a voce dal sommelier.

PER APPROFONDIRE...
La carta dei vini
Come ha ricordato Matteo Zappile, la carta dei vini deve lasciare ampio margine di manovra al sommelier. La copertina può essere in cuoio, in velluto o in altri materiali, in linea, comunque, con lo stile del ristorante. All’interno devono dominare chiarezza e facilità di lettura. È bene elencare le etichette presenti per tipologia, regione e, nel caso, Paese di produzione. Una pagina può inoltre essere dedicata a una proposta di vini meno conosciuti in cui evidenziare l’interessante rapporto qualità/prezzo.

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