Tutti pazzi per il cioccolato

L'Italia non è solo il Paese del sole, ma è anche quello della cioccolata. I maestri cioccolatieri italiani sono sempre più richiesti all'estero. E il Medio Oriente rappresenta il mercato più appetibile

17 dicembre 2017 | 13:01
di Monica Di Pillo
Il nostro è il quinto Paese per export di cioccolato con una quota mondiale del 6,1%, per un valore di poco meno di 2 miliardi di dollari. L’associazione europea dei cioccolatai riporta dati in crescita per la produzione di questo prodotto e la sua lavorazione sul territorio dell’Unione. Quanto a noi italiani, crescere non costituirebbe un’eccezione, visto che complessivamente l’export nazionale alimentare e di bevande potrebbe segnare fino al +22% nei prossimi 5 anni, sfiorando i 37 miliardi di euro nel 2020.



Tra i mercati più appetibili sicuramente quelli del Medio Oriente, che solo nel 2016 hanno registrato più di mezzo miliardo di dollari di import di cioccolato. Il Medio Oriente è sicuramente uno scenario molto interessante. «Esportare il Made in Italy - spiega Federico Anzellotti, presidente di Conpait - significa esportare le materie prime utilizzate nelle nostre pasticcerie, ma la differenza, da un punto di vista competitivo, è tutta in mano alla tecnica italiana di lavorare la materia prima, combinarla e valorizzarla al massimo. La pasticceria, e noi di Conpait lo stiamo già iniziando a fare, deve aprirsi a strategie di marketing che prevedano un training specifico del personale. Il nostro obiettivo principale non è quello di esportare il prodotto nostrano, ma affermare una cultura di lavorazione e di consumo all’italiana».

Per preservare il sourcing Made in Italy è necessario lavorare a stretto contatto con gli artigiani che operano con le eccellenze gastronomiche del nostro Paese. Bisogna utilizzare i migliori ingredienti e lavorarli con cura, rispettando le caratteristiche per valorizzarne qualità e identità. L’integrazione a monte della filiera è una grande opportunità e, come tale, presenta i suoi rischi. Il rischio è prevalentemente legato alla sicurezza dell’investimento, l’integrazione a monte comporta un aumento dei costi non sempre sostenibile da un laboratorio di pasticceria artigianale o da una piccola e media impresa. D’altro canto, in una dinamica di lungo periodo della produzione, la verticalizzazione consente di presentarsi sul mercato con una visione globale e sostenibile, permettendo la costruzione di un’architettura di valore per il marchio, i cui benefici superano di gran lunga i costi.

Le sfide in Medio Oriente sono quelle tipiche di un’impresa che prova a internazionalizzarsi. «Prima di tutto la concorrenza dei brand esteri, poiché - prosegue Anzellotti - ci si ritrova a competere con un panorama di multinazionali che sono dei colossi nel loro settore. La seconda prova è quella della strutturazione, perché per affrontare un nuovo paese l’azienda deve adottare un approccio manageriale forte, deve comportarsi come una multinazionale pur non avendone la risonanza né le dimensioni». Certo è che, se esiste un modo per esportare la qualità della lavorazione alimentare italiana, i cioccolatieri possono esserne già dei validi rappresentanti.

Per informazioni: www.conpait.it

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Alberto Lupini


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