L’osteoporosi è cronica ma è necessario curarla

L’osteoporosi è una malattia cronica e si caratterizza per la presenza di alterazioni della struttura ossea con conseguente minor resistenza al carico meccanico e un aumentato rischio di fratture

25 aprile 2020 | 18:38
Nel corso della vita di un individuo, l’osso subisce un processo fisiologico di continuo rimodellamento che vede la rimozione, da parte di cellule specializzate dette osteoclasti, del vecchio tessuto scheletrico danneggiato e la formazione di nuovo osso da parte di altre cellule specializzate chiamate osteoblasti. Con l’avanzare dell’età però, l’attività degli osteoclasti tende a essere maggiore rispetto a quella degli osteoblasti, motivo per cui l’invecchiamento si accompagna a una perdita di massa ossea.

Ne ha parlato il professor Gherardo Mazziotti, Responsabile della Sezione di Ricerca, Diagnosi e Cura delle Malattie Osteometaboliche di Humanitas, in un articolo di Humanitasalute, che vi riproponiamo di seguito.




«L’osteoporosi - afferma - si sviluppa quando questa perdita di massa ossea diventa patologica a causa di un’eccessiva e dominante attività di riassorbimento osseo rispetto a quella di neoformazione. L’osteoporosi dunque non è una condizione fisiologica ineluttabilmente associata all’invecchiamento, ma una condizione patologica per la quale va instaurato un trattamento farmacologico per ridurre il rischio di fratture da fragilità».

Infatti, l’osteoporosi è una malattia di rilevanza sociale; si stima che nel nostro Paese ne siano colpiti 1 donna su 3 oltre i 50 anni (circa 5.000.000 di persone) e 1 uomo su 8 oltre i 60 anni (circa 1.000.000 di persone). “Purtroppo, ancora oggi, meno del 50% dei pazienti con osteoporosi ad alto rischio di fratture è trattato con farmaci anti-osteoporotici con conseguenze sociali rilevanti in relazione alle complicanze e agli esiti degli eventi fratturativi”, prosegue il professore.

I farmaci anti-osteoporotici agiscono sul rimodellamento scheletrico con l’obiettivo di migliorare il bilanciamento tra il riassorbimento e la neoformazione ossea. La maggior parte dei farmaci a disposizione (bisfosfonati, denosumab, modulatori dei recettori degli estrogeni) agisce inibendo la funzione degli osteoclasti e quindi il riassorbimento osseo. A oggi, invece, disponiamo di un solo farmaco cosiddetto anabolico (il teriparatide) in grado di stimolare la funzione osteoblastica e quindi la neoformazione ossea. Tutti questi farmaci hanno dimostrato un’efficacia rilevante nel migliorare i valori densitometrici misurati attraverso l’esame MOC-DEXA e soprattutto nel ridurre il rischio di fratture.

La scelta del farmaco viene operata a seconda delle esigenze del singolo paziente, sulla base di fattori che tengono conto del profilo di rischio fratturativo individuale e dell’accettabilità e potenziale tollerabilità da parte del paziente. Come in altre malattie croniche per le quali la terapia è necessariamente a lungo termine, la scelta del farmaco va sempre condivisa con il paziente nei suoi vari aspetti (razionale, potenziali effetti collaterali e risultati attesi).
Nel paziente con fratture vertebrali cliniche o fratture femorali, oltre alla terapia farmacologica di prevenzione secondaria delle fratture è necessario mettere in atto un percorso terapeutico chirurgico e riabilitativo per il trattamento delle complicanze fratturative e dei loro esiti”, ha precisato lo specialista.


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Alberto Lupini


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