Giri di vite. 6 etichette per non sbagliare col caldo

Tre vini siciliani tra i bianchi e poi i rosati e una piccola deviazione sul rosso. Ecco tutte le sfumature consigliate per concedersi bevute estive in compagnia di qualità

02 agosto 2021 | 17:55
di Giuseppe De Biasi

Dopo avervi suggerito, nella prima parte di questa carrellata, qualche bollicina da stappare in compagnia in queste belle serate di mezza estate passiamo ora in rassegna i bianchi e i rosati (con una piccola digressione in rosso) che ci hanno particolarmente colpito. Sui bianchi ci concentriamo su un trittico siciliano, regione che in questi ultimi vent’anni ha aumentato la quota e la qualità di una tipologia enologica che, per quanto caratteristica del territorio, nel secolo scorso si faceva fatica ad associare come prodotto di fascia alta all’assolata terra di Sicilia.

 

Sul Vulcano 2019 di Donnafugata

Il “primo pannello” ci propone la donna-vulcano che campeggia sull’etichetta del Sul Vulcano 2019 di Donnafugata, bianco di sole uve Carricante coltivate sul versante nord dell’Etna, tra Randazzo e Castiglione di Sicilia, ottenuto con fermentazione in acciaio, poi affinamento di 10 mesi in parte in vasca in parte in barrique di rovere francese di secondo e terzo passaggio e sosta finale di 9-10 mesi in bottiglia prima di essere commercializzato. Nel bicchiere il suo giallo paglierino con riflessi dorati, preannuncia l’austera eleganza del vitigno che propone un olfattivo di frutta gialla, sentori agrumati, sfumature floreali, di erbe aromatiche e pietra focaia, con una complessità che ricorda il Riesling renano. Al palato è avvolgente, fresco e quasi salmastro, con buona persistenza ed un insospettabile (per un bianco siciliano) potenziale di invecchiamento. Da abbinare a primi di pesce come a piatti a base di verdure e funghi.

 

Le Sabbie dell’Etna di Firriato

Rimaniamo su “A Muntagna” per l’annata 2020 de Le Sabbie dell’Etna di Firriato, etichetta storica della produzione etnea della famiglia Di Gaetano. In questo caso non si tratta né di un Carricante in purezza né di un vino di contrada ma di un blend di Carricante e Catarratto con uve provenienti da più contrade, per ottimizzare la variabilità vendemmiale ed ottenere un bianco capace di presentarsi con un proprio carattere identificativo, stabile nel tempo. I grappoli, per scelta, non vengono diraspadati e la fermentazione avviene in acciaio, cui segue un affinamento di almeno un anno in bottiglia. Nel calice il giallo paglierino con riflessi verdognoli apre ad un olfattivo dove la componente floreale di mimosa, ginestra e margherita di campo, si fonde alle note fruttate di pesca bianca, pera Williams e agrumi, dando vita ad un vino dinamico, di spiccata freschezza e sapidità. Molto versatile sul fronte abbinamenti è a suo agio con la cucina fusion e con quella orientale.

 

Gazzerotta 2018 di Pellegrino

Dal capo opposto dell’isola, dai terreni che guardano le isole Egadi proviene il Gazzerotta 2018 di Pellegrino. Grillo in purezza dall’omonimo feudo acquistato dalla famiglia negli anni ’80, rispetto al più immediato fratello minore “Salinaro” si presenta con più nerbo e struttura con caratteristiche che lo avvicinano ai vini macerati. Un clone di Grillo, quello delle antiche vigne del feudo, che presenta peculiari espressioni aromatiche. Sosta in vasca per 12 mesi sulle proprie fecce fini prima di essere imbottigliato per produrre un vino dal bel colore giallo paglierino con riflessi dorati. Naso complesso con dominanti floreali, note di sambuco e poi miele, liquirizia, spezie dolci e zafferano. Un Grillo carnoso, intenso, di bella struttura. Da abbinare ai piatti succulenti della cucina trapanese come il cous cous di pesce ma anche sulle busiate al ragù di tonno.

Passando ai rosati due toscani, di zone molto diverse, hanno stuzzicato la beva, entrambi da poco sul mercato (rispettivamente al primo e al secondo millesimo prodotto).

 

Rosé di Trerose 2020

Da una dei gioielli dei Bertani Domaines, la Trerose a Montepulciano, tenuta spalmata su cinque colli nella parte sud-est della docg con ben 103 ettari vitati, sicuramente una delle più suggestive dell’area proviene il Rosé di Trerose 2020, da Sangiovese biotipo Prugnolo Gentile, ca va sans dire, visto il terroir. Una nuova espressione di Sangiovese, coltivato sui suoli sabbiosi dei vigneti collinari di Trerose, perfetti per esaltare le caratteristiche del sangiovese vinificato in rosato, esperimento non diffuso nell’areale. Nel bicchiere si propone con una livrea di un salmone chiaro e un naso delicato di pesca gialla che si alterna all’agrumato e alla marasca affiancato ad un leggero speziato. In bocca predomina il pompelmo rosa con una croccante acidità che sfocia, come una risorgiva, in un salino finale. Da aperitivo o da plateau di frutti di mare magari con vista sulla città di Poliziano.

 

JeT Castello di Montepò 2020

Accogliamo con piacere la seconda annata, dopo l’esordio dello scorso anno, di JeT Castello di Montepò 2020. JeT rappresenta una scommessa (riuscita), il primo rosato prodotto da uve Sangiovese grosso BBS11, selezione clonale impiantata oltre 30 anni fa da Jacopo Biondi Santi nelle vigne della Tenuta di Castello di Montepò, a Scansano, in Maremma. Il nome racchiude le due iniziali di Jacopo e Tancredi, padre e figlio, come a voler suggellare quel patto generazionale tra presente e futuro di una delle famiglie più blasonate del vino italiano. L’annata 2020, decisamente più calda della precedente, si presenta nel calice un po’ più carica di colore ma sempre da quel rosa aranciato tendente all’albicocca matura, di nitida luminosità. Al naso sentori di pompelmo rosa e melograno si concretizzano al palato con un gustativo armonico, gradevolmente sapido, morbido e leggermente salino. Perfetto per un aperitivo ”stile millennians” si presta ad una spiccata versatilità di abbinamenti che spaziano dalla speziata cucina orientale alla tartare di tonno rosso.

 

Gaiuggiole di Castiglione del Bosco

E per finire, sfidando gli abbinamenti e le consuetudini, un rosso da bere leggermente fresco, il Gaiuggiole, cru di Rosso di Montalcino di Castiglione del Bosco, nell’ultima annata appena presentata, la 2018. L’omonimo vigneto situato nella parte nord della vasta e storica tenuta acquistata nel 2003 da Massimo Ferragamo (e trasformata negli anni in un’oasi di pace e di esclusività), è a circa 300 metri s.l.m., su terreni di argilla e pietra. La selezione delle migliori parcelle del vigneto con la complicità dell’affinamento in acciaio e la cura certosina dell’enologa Cecilia Leoneschi, sviluppano al meglio il fruttato tipico del vitigno producendo un vino immediato, verticale, di indubbia personalità e riconoscibilità gustativa. Un Sangiovese in purezza dal bel rosso rubino dai riflessi porpora con un olfattivo di frutti neri, ciliegia e sprazzi vegetali. In bocca è lineare e avvolgente con decisa spalla acida e finale pulito e rinfrescante, che richiama subito il sorso successivo. Da abbinare alla classica bistecca alla fiorentina ma anche ad un buon piatto di pici al ragù di cortile. Oppure, nella versione migliore, sorseggiarlo con vista sul bosco da una delle suite dell’elegante resort che da 6 anni è testimonial dell’italian style alberghiero di Massimo Ferragamo anche nel prestigioso circuito statunitense Rosewood Hotels & Resorts.


 

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