Oltrepò, serve una rivoluzione Psicologi entrino nelle cantine

Una riflessione (senza sconti) sulle attività nella zona del pavese, dopo l’ennesimo scandalo che lo ha colpito, chiedendo una svolta a livello di impostazione, filosofia e di controlli

12 febbraio 2020 | 11:05
di Guerrino Saviotti
Non ho resistito alla tentazione di intervenire in merito alle note vicende che per l’ennesima volta stanno sconvolgendo l’Oltrepò Pavese vitivinicolo. Da vecchio (ed ormai consumato) enologo ho fatto in questi giorni alcune riflessioni del tipo: perché siamo ricaduti nello stesso scandalo (che non riguarda, è bene ricordarlo, aziende che fanno parte del Consorzio, ndr) a procedimenti ancora aperti riguardanti Terre d’Oltrepò? Quali sono le motivazioni che inducono privati ma soprattutto cantine sociali ad infrangere leggi e regolamenti?


Dopo l'ennesimo "inghippo" urge una netta inversione di rotta

La filiera dello scandalo attuale, come quello precedente, parte sempre dalla produzione: senza la copertura documentale emessa dai viticoltori non esisterebbe la possibilità di creare falso vino Dop o Igp con vini provenienti da altri territori o, peggio, prodotto fraudolentamente in cantina. Questo succede quando il produttore non denuncia solo l’uva realmente prodotta, ma carica sui registri il massimo consentito dal disciplinare, vendendo poi il vino vero ottenuto ed il vino di “carta” che poi viene coperto dalla produzione fraudolenta.

Tutto ciò produce “reddito” ai diversi componenti la filiera: al viticoltore che riceve l’indennità per la produzione del documento; all’intermediario che riceve la provvigione; al produttore del vino anonimo che diventa successivamente Dop o Igp; all’imbottigliatore che riesce a procurarsi su piazza un vino a basso prezzo; alla grande distribuzione, importatori o grossisti vari che possono mettere sul mercato un vino a denominazione sotto costo… e qui il cerchio si chiude.

Questo facile reddito destinato ai vari componenti di cui sopra, provoca però alla lunga una ricaduta molto negativa sul territorio, abbassando i prezzi delle uve, dei vini all’ingrosso e quindi delle bottiglie messe al consumo e, quando la frode viene scoperta come nei casi in specie, un danno di immagine micidiale all’intero comprensorio. Per far terminare questo gioco al massacro basterebbe che i Viticoltori (quelli con la v minuscola) smettessero di produrre vino di carta per produrre solo vino reale: in che modo? Limitandosi ad iscrivere sui registri la sola produzione reale del vigneto.

Non intendo certo in questa sede criminalizzare la categoria ma il sistema sì. Scrivere che la maggioranza dei Viticoltori Oltrepadani è composta da persone serie, che l’Oltrepò è un territorio vocato, che esistono fior fior di aziende che lavorano bene ecc. ecc. non basta più, perché il sistema omertoso del nostro territorio ha creato discredito, un discredito ora difficile da bonificare.

Una soluzione però bisogna trovarla e cercherò di dare alcune idee.

Primo: come sopra accennato i viticoltori d’ora in avanti devono (imperativo) produrre ed iscrivere sui registri la pura e sola produzione del vigneto, varietà per varietà, senza trasformare ad esempio il riesling italico in pinot grigio o il barbera in bonarda.
Secondo: impedire che in Oltrepò arrivi vino “forestiero” finalizzato alla produzione di tagli Dop o Igp teso ad abbassare i prezzi.
Terzo: intervenire in modo deciso con severi controlli affinché cisterne “dubbie” scarichino vino nelle cantine sia esse private che sociali;
Quarto: non avere timore, da parte dei produttori onesti, di denunciale alle autorità di vigilanza fatti fraudolenti commessi o in via di commissione nel territorio;
Quinto: seguire l’esempio Francese. I territori più vocati della Francia tali sono diventati per tantissimi nobili e storici motivi ma anche e soprattutto perché alla base c’è stata la serietà e la coerenza (ed anche un certo spirito “rivoluzionario”) che ha portato negli scorsi decenni i Vignerons a rovesciare letteralmente nelle strade i vini provenienti dall’esterno (compresi quelli italiani) dei territori vocati.

Non intendo certo in questa sede passare per “incendiario” o “gilet jaune”, ma sento proprio la necessità di una vera e propria rivoluzione nell’Oltrepò vitivinicolo, una rivoluzione che deve venire dalla base e guidata non tanto da esperti enologi ma da bravi psicologi e sociologi perché se non viene orientato il pensiero non si può pretendere di orientare le pratiche ed i comportamenti.

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Alberto Lupini


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