La riscoperta dell'Uvalino Ottimi vini da conservazione

Vitigno a bacca nera ormai molto raro, arrivato ad un passo dall’estinzione, di cui il marchese Asinari era stato promotore nei primi decenni del XVIII secolo

12 maggio 2019 | 15:21
di Piera Genta
Il suo nome significa “uva piccola” e fu descritto dal botanico Giorgio Gallesio nel 1831. Era conosciuto nel Canavese come Cunaiola, Freisone nel Tortonese e Lambrusca e Lambruschino in Roero. Negli ultimi anni dell’Ottocento era diffuso in tutta l’Astesana meridionale, specialmente nell’area di Costigliole d’Asti e si può dire che non esistesse azienda agricola, per quanto piccola, che non destinasse all’Uvalino almeno un paio di filari dei propri vigneti.



Veniva raccolto a fine ottobre a perfetta maturazione, conservato in fruttaio per un leggero appassimento e vinificato in purezza oppure utilizzato come migliorativo per altri vini. Averne qualche bottiglia rappresentava un segno di benessere ed era la bottiglia da regalare al medico condotto, al notabile del paese o al prete in cambio di qualche favore ricevuto.



Lo ha riscoperto Mariuccia Borio, Cascina Castlèt. Nel 1992 ha impiantato il primo filare: oggi sono poco più di due ettari in due vigneti. Dalla vendemmia 1995 è iniziata la collaborazione con l’Istituto sperimentale per l’Enologia di Asti. Nel luglio 2002 la Gazzetta Ufficiale dichiara la rinascita di questo vitigno che viene inserito come varietà riconosciuta. La prima annata fu la vendemmia 2006 uscita in commercio nel 2009. Oggi l’azienda produce 5mila bottiglie.



Si tratta di un vitigno non di facile coltivazione con basse rese produttive. Il vino che si produce è adatto al lungo invecchiamento, di colore rubino intenso con tonalità granate. Al naso belle sensazioni di frutta in confettura in cui prevale la ciliegia con note di noce moscata. Un bell'equilibrio, bella freschezza e tannini marcati. Ottimo come vino da conversazione. Ideale con grandi piatti di carne e selvaggina e con formaggi di lunga stagionatura.

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Alberto Lupini


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