Vite in Riviera e quel tesoro chiamato Pigato: così sfida il Vermentino

Varietà sino a ieri snobbate dai mercati guadagnano notorietà e sfidano quelle più “pop”. Succede anche in Liguria, dove il meno acclamato Pigato ha lanciato il suo guanto di sfida al celebre Vermentino

12 luglio 2022 | 10:25
di Davide Bortone

La riscoperta dei vitigni autoctoni italiani è un fenomeno capace di andare ben oltre la rivoluzione delle gerarchie dei consumi. Varietà sino a ieri snobbate o considerate “minori” – quantomeno dai mercati – guadagnano sempre più notorietà. Sino ad arrivare a sfidare quelle più “pop”. Succede anche in Liguria, dove è in atto un'accesa sfida tra il vip Vermentino e il meno acclamato Pigato (parenti dal punto di vista genetico).

Il Pigato sfida il Vermentino

È la rivincita del Ponente Ligure sul Levante. Ma, soprattutto, uno dei grandi risultati ottenuti in breve tempo da Vite in Riviera, rete di 25 aziende della provincia di Imperia e Savona istituita nel 2015, allo scopo di valorizzare e promuovere i prodotti tipici della zona orientale della regione. Una crescita dettata anche dall’evidente inflazione in corso sul vitigno principe (ovvero più coltivato) della Liguria.

Il Vermentino, già acclamato “Re di Sardegna”, è sempre più allevato in Toscana, nuova leva dei produttori della fascia (turistica) costiera, in una regione storicamente votata (e vocata) ai vini rossi. Nuovi impianti di Vermentino spuntano come funghi in Sicilia, così come in Puglia. Dando vita a vini di assoluta dignità, i cui costi di produzione sono tuttavia decisamente inferiori a quelli delle eroiche colline e strapiombi sul mare ligure.

Territorio vs vitigno

Il resto lo fa la mancanza di programmazione e visione delle governance del vino italiano. Ovvero quell’insistenza alla promozione del nome del vitigno (“Vermentino”, ma potrebbe essere “Primitivo”, per fare un altro esempio concreto), piuttosto del nome del territorio. Un aspetto, questo, che accomuna Ponente e Levante ligure a decine di altre terre del vino italiano.

Le priorità, del resto, sono altre. «Bisognerebbe innanzitutto riprendere in mano il catasto vinicolo – evidenzia Massimo Enrico, presidente di Vite in Riviera - e stabilire quanta discrepanza ci sia tra la produzione annuale a denominazione e gli ettari di vigneti rivendicati. Purtroppo, i terreni in stato di abbandono sono d'ostacolo all'autorizzazione di nuovi impianti, che per molti viticoltori sarebbero vitali. Andrebbero poi rivisti, su scala nazionale, i criteri di assegnazione dei diritti di reimpianto».

Una richiesta dettata proprio dalle difficoltà di mercato dalle cantine aderenti alla Rete di imprese. «A settembre molti di noi hanno già finito i vini immessi sul mercato in primavera», sottolinea ancora Enrico, esponente della cooperativa Viticoltori Ingauni, che raccoglie 200 soci nel Ponente Ligure.

Il vino non basta

«I problemi di mercato maggiori – aggiunge – riguardano proprio i nostri vini bianchi, dunque il Pigato. Una scarsa disponibilità che rischia di scoraggiare i buyer, che non amano dover rivedere i loro assortimenti o rinunciare a prodotti in gamma, sentendosi dire dai loro fornitori che il prodotto è finito».

Gli fa eco Marco Luzzati, amministratore di Peq Agri, società aderente a Vite in Riviera che tra il 2019 e il 2021 è riuscita ad acquisire due storici brand della Liguria del vino come Lupi (Pieve di Teco, IM) e Guglierame (Pornassio, IM), accostandoli a Cascina Praié: «Ormai – evidenzia – siamo costretti a operare su assegnazione con i nostri buyer italiani ed esteri. Razionare le spedizioni è l’unica soluzione a nostra disposizione per cercare di accontentare il maggior numero possibile di acquirenti».

Che il Pigato sia il vitigno simbolo della rete d’imprese del Ponente Ligure, lo confermano anche gli assaggi alla sede di Ortovero dell’Enoteca regionale della Liguria e tra le aziende del territorio. Convincono, su tutti, le linee di Pigato de La Vecchia Cantina – Famiglia Calleri e di Tenuta Maffone.

I pigato da non perdere

Veri gioielli, che hanno in comune il “tocco magico” dell’85enne enologo piemontese Marco Biglino. Per i Calleri anche una versione Metodo classico di grande finezza, il Dosaggio Zero millesimato 2018 “U Bertu”. Un’ottima alternativa locale agli Champenoise di zone italiane più blasonate.

Appassionato ed efficace anche il lavoro sul Pigato di Bio Vio di Bastia d'Albenga (SV), prima azienda agricola ligure certificata biologica fondata da Aimone Giobatta nel 1989, insieme alla moglie Chiara. Un’azienda che oggi può contare sulle tre figlie Caterina, Camilla e Carolina, che si dividono i compiti tra la parte enologica, della ristorazione e dell'ospitalità. Nel segno del bio e dei consumi “salutistici”, da provare la versione “senza solfiti aggiunti” firmata dall’accogliente e numerosa famiglia savonese.

Tra i Pigato delle cantine di Vite in Riviera spiccano anche quelli dell'Azienda Agricola Bruna di Ranzo (IM), che può contare su vigneti di alta collina, nella selvaggia Valle Arroscia che ricomincia a popolarsi di lupi. Degne di nota anche le etichette di Cascina Feipu dei Massaretti, Azienda Agricola Dell'Erba (“Mareggio”) e Azienda Agricola Lombardi ("Abbajae"), tutte prodotte con l’autoctono del Ponente Ligure. Il Vermentino e il Levante sono avvisati.

 

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Alberto Lupini


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