Vini “rosati” o “rosa”? Da stappare tutto l’anno

L’aggettivo “rosato” fa pensare a un colore non ben definito: meglio sarebbe parlare di vini “rosa”. Una tipologia sempre più destagionalizzata che si può abbinare a tutti i piatti della nostra cucina

28 agosto 2020 | 15:38
di Roberto Vitali
La riflessione mi è venuta sfogliando l’edizione 2020 de “I migliori 100 Vini Rosa d’Italia”, preziosa guida edita da Slow Food. Gli autori del volume sostengono a spada tratta che non va più usato il termine “vini rosati” ma è più giusto chiamarli “vini rosa”. Il ragionamento è semplice: se la rosa è rosa, la cravatta è rosa, l’auto è rosa, tutto è rosa se colorato di questo colore, perché riferito al vino l’aggettivo diviene “rosato”, termine tra l’altro che fa pensare a un colore non ben definito?



Inoltre: molti di questi vini vengono definiti in etichetta Rosati (siano essi Doc, Igt o vini da tavola), ma altri invece si chiamano Chiaretto, oppure Cerasuolo, perché la tradizione e la legge vigente li definisce in questo modo. Se adottassimo il termine Rosato per definire ogni vino rosa escluderemmo in sostanza queste altre denominazioni, che invece a pieno titolo entrano nel fantastico e variegato mondo dei vini rosa. Ragionamenti che ci sembrano convincenti per dar ragione agli esperti di Slow Food. Vini rosa, quindi, non rosati.



Altro tema è la continua destagionalizzazione dei vini rosa. Anni fa erano una nicchia per gusti particolari, sono stati vini denigrati e sottovalutati, ma sembra ormai certo che la situazione giochi a favore dei vini rosa. Ormai all’estero sono tornati prepotentemente di moda e l’Italia seguirà a ruota: è solo questione di tempo. Del resto pensate a quanto siano plastici il Cerasuolo d’Abruzzo, il Bardolino Chiaretto, il Valtènesi, il Rosato del Salento e così via. Stanno bene con almeno il 90% delle ricette che arrivano sulle nostre tavole, non solo durante l’estate.

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Alberto Lupini


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