In Italia 5mila locali in mano alla mafia Fipe: «Servono prevenzione e denuncia»

L’agroalimentare è divenuto una delle aree prioritarie di investimento della malavita che ne comprende la strategicità in tempo di crisi perché consente di infiltrarsi in modo capillare nella società civile

11 gennaio 2018 | 14:44
Grazie a una collaudata politica di mimetizzazione, le organizzazioni riescono a tutelare i patrimoni finanziari accumulati con le attività illecite muovendosi ormai come articolate holding finanziarie, all’interno delle quali gli esercizi ristorativi rappresentano efficienti coperture, con una facciata di legalità dietro la quale è difficile risalire ai veri proprietari e all’origine dei capitali.



Sono almeno 5mila i locali della ristorazione che sono nelle mani della criminalità organizzata. È quanto afferma Coldiretti in relazione alla maxioperazione della Dda di Catanzaro nei confronti dal clan Farao-Marincola di Cirò Marina che secondo gli investigatori era riuscito a strutturare un'ampia rete commerciale in grado di imporre a ristoranti e pizzerie l'acquisto di diversi prodotti del crotonese, dalla pasta per la pizza al vino di Cirò.

Ricattando o acquisendo direttamente o indirettamente gli esercizi ristorativi in Italia e all’estero, le organizzazioni criminali garantiscono uno sbocco al fiorente business delle agromafie il cui volume di affari complessivo nel 2017 è salito a 21,8 miliardi di euro (+30% in un anno) lungo tutta la filiera del cibo, della sua produzione, trasporto, distribuzione e vendita.

Dalla pasta al vino, dall’olio all’ortofrutta le agromafie condizionano il mercato agroalimentare stabilendo i prezzi dei raccolti, gestendo i trasporti e lo smistamento, il controllo di intere catene di supermercati e della ristorazione, l’esportazione del nostro vero o falso Made in Italy, la creazione all’estero di centrali di produzione dell’italian sounding e lo sviluppo ex novo di reti di smercio al minuto.

In questo modo la malavita si appropria di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma anche compromettendo in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani e il valore del marchio made in Italy.

Questa la dichiarazione di Lino Stoppani, presidente Fipe - Federazione italiana pubblici esercizi: «Il rapporto sulle Agromafie informa sulle illegalità diffuse nell’agricoltura, confermando la gravità e la resilienza di un fenomeno che produce caporalato, manipola la formazione dei prezzi, commercializza prodotti di illecita provenienza e inquina  il mercato, oltre che gravemente l’ambiente. Una piaga che colpisce anche la ristorazione, che è vittima di un sistema malavitoso che impone ricatti ed estorsioni e che acquisisce locali, completando la sua filiera criminale, inquinando il settore e distorcendo le dinamiche concorrenziali, producendo danni aggiuntivi, anche di natura reputazionale per tutto il comparto, fatto per la stragrande maggioranza di operatori perbene, che lavorano e faticano valorizzando la filiera agro-alimentare».


Lino Stoppani

«Secondo questa indagine - prosegue Stoppani - sarebbero 5mila i ristoranti in mano alla criminalità. Sono tanti, anche se rappresentano una percentuale minima rispetto al totale dei pubblici esercizi italiani, che richiede grande attenzione, azione di prevenzione e di denuncia del malaffare, in collaborazione costante con l’encomiabile attività delle Forze dell’Ordine e della Magistratura. Va ripreso e rafforzato il controllo del territorio, tenuto monitorato lo sviluppo delle imprese, individuando indici di allerta (socio effettivo, importo degli avviamenti pagati, corrispettivi incassati, concentrazione di attività) che evidenzino anomalie sulle quali intervenire, proteggendo i veri imprenditori del settore che devono poter svolgere il loro lavoro liberamente, senza ricatti o distorsioni».

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Alberto Lupini


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