Altro che tasse ridotte a chi è chiuso! Sui ristoranti la tegola della Tari: non c'è ancora la sospensione

È saltata la proroga della tassa sui rifiuti deciso durante il lock down. Il Governo non l'ha rinnovata (nemmeno col decreto ristori quater) e i Comuni hanno l'obbligo di applicare l'imposta. Serve un intervento urgente

01 dicembre 2020 | 15:41
La segnalazione è precisa, almeno quanto è autorevole la fonte. Stando a quanto riporta il Sole 24Ore i bar e ristoranti, come molti negozi, saranno costretti a pagare la Tari anche se sono stati chiusi, o lavorano a orario ridotto, a seguito dei decreti Covid. E non lavorando non ci sono rifiuti… . Da tempo le organizzazioni di categoria, Fipe in testa, richiedono una norma urgente per sanare una situazione assurda, ma ancora una volta la burocrazia fa orecchie da mercante e nemmeno nel decreto ristori quater c’è traccia di questo problema. Altro che semplificare o tagliare le tasse a chi è in crisi…

Il problema è chiaramente dei Comuni, ma le amministrazioni hanno le mani legate visto che la legge impone il pagamento e non c’è stata alcuna sospensione come pure era avvenuto col primo lock down. Qualcuno si è dimenticato, o ha fatto di non vedere, che la sospensione scadeva il 31 ottobre.

Nessuna agevolazione o riduzione può essere quindi decisa dai Comuni, sia per la Tari tributo, sia per la Tari corrispettiva, anche se le «risorse per coprire queste riduzioni - come sottolinea il Sole 24Ore - ci sarebbero, potendosi far ricorso al fondo per l’esercizio delle funzioni comunali previsto dai Dl 34/2020 e 104/2020». Ormai siamo a dicembre e servono variazioni per derogare ai criteri ordinari con cui si approvano eventuali interventi sulle tariffe riservate ai codici Ateco chiusi, o con attività ridotte, e rapportate ai giorni di chiusura, magari prevedendo per legge una percentuale massima di riduzione concedibile.

Più complicata, invece, appare la strada dei contributi, non solo per l’obbligo di operare la ritenuta del 4%, ma anche per tutti gli obblighi connessi agli aiuti di Stato.

Ma risolvere le scadenze a breve non basta. In prospettiva ce ne possono essere di molti più gravi. L’articolo 107 del Dl 18/2020 ha dato in particolare la possibilità ai Comuni di confermare per il 2020 le tariffe della Tari e della tariffa corrispettiva approvate per il 2019. La stessa disposizione però prevede che il Pef 2020, il primo dell’era Arera, dovrà essere approvato entro il 31 dicembre. L'eventuale conguaglio tra i costi risultanti dal Pef per il 2020 e i costi determinati per l'anno 2019 «può» essere ripartito in tre anni, a decorrere dal 2021.

Nella variegata Italia, nelle aree dove ci sono le Ato, i Pef dovranno essere approvati/validati entro il 31 dicembre dalle autorità. Ma il Comune ne dovrà prendere atto, anche dopo il 31 dicembre, al fine di decidere cosa fare dell’eventuale conguaglio: se finanziarlo con proprie risorse o caricarlo nel Pef 2021 e nei due seguenti. Si tratta di una decisione che incide a cascata sulle tariffe all’utenza finale, e non c’è dubbio che sia di competenza comunale. Nelle aree dove, invece, non sono presenti le Ato, è il Comune che dovrà fare tutto entro il 31 dicembre.

Come se bastasse dal 1° gennaio 2021 entrerà in vigore la parte del Dlgs 116/2020 che ha riscritto le regole dei rifiuti, eliminando la categoria dei rifiuti assimilati e dando la possibilità per le utenze non domestiche di uscire dal servizio pubblico. Una prospettiva non facile e che non a caso l’Anci chiede di rinviarne l’applicazione di un anno.

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Alberto Lupini


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