L'angoscia del bollettino Un Paese intero aspetta le 18

L'orario nel quale si svolge la conferenza stampa della Protezione civile è diventato l'ora "x" per tutti noi. L'ora dei dati e delle decisioni, l'ora nel quale il nostro migliore amico si chiama Angelo Borrelli

11 marzo 2020 | 16:42
di Federico Biffignandi
Qualcuno sta scomodando i tempi di Guerra per descrivere l'era coronavirus, noi ci dissociamo ritenendola un'esagerazione, ma è oggettivo che il clima per le strade e nelle case somigli ai tempi bui delle due guerre recenti che vediamo nei film o che ascoltiamo dalle parole dei nostri nonni. Purtroppo ormai sono pochi quelli che ancora possono darne testimonianza, eppure ci servirebbero. E se in quei tempi c’era la sirena che annunciava il coprifuoco, oggi c’è il suono delle campane (visto che qualcuno, nel silenzio, si è accorto che suonano davvero) che rintoccano alle 18 oppure (per i più “paranoici”) magari la sveglia dello smartphone che annuncia l’arrivo dell’ora “X”.


Italiani in ansia fino alle 18

Perché un po’ tutti abbiamo individuato nelle 18 di ogni pomeriggio il momento nel quale possiamo tirare le somme e capire quanto il coronavirus si stia diffondendo. I volti dei ministri (incredibile!) stiamo imparando a riconoscerli e addirittura stiamo imparando i loro cognomi, per non dire i nomi di battesimo. Di più: il capo dipartimento della Protezione Civile, Angelo Borrelli, è diventato il nostro miglior amico, il nostro appiglio, la nostra fiducia, come se tutto dipendesse da lui che, invece, ha solo il compito di snocciolare cifre in quel momento. Roba da matti, di questi tempi a pensare che fino all'altro giorno chiedevamo solo Amadeus e Maria De Filippi. L’Italia vive una lunga e unisona apnea fino alle 18, poi smolla il fiato e inizia a pensare. Ma le 18 restano il momento cruciale perché è il momento dei numeri, quelli che “inchiodano” la situazione e mettono all’angolo ogni tipo di chiacchiericcio che, davvero, ora, ci ha nauseati.

Tutti possono dire tutto e tutti credono un po’ a tutto a propria discrezione, ma i numeri sono i numeri e il numero 18 (quello dell’orario del bollettino) rimarrà nel nostro orologio biologico per un po’ di tempo. Poi c’è anche chi si diverte a scombinare i numeri, ad interpretarli, a dar vita a ragionamenti contorti architettati per fare confusione, ma la realtà è che i dati sono dati e poco ci si può fare se non lasciare a chi di dovere il compito di analizzarli.

Fino a quel momento l’Italia vive di speranze, è una lunga processione verso il tabellone dei voti ai tempi del liceo quando a giugno tutto si riduce ad un numero e non c’è più possibilità di replica, ma solo il tempo delle decisioni. L’angoscia del bollettino traina l’attesa per i nuovi provvedimenti del Governo, sia economici che pratici perché quello che decidono da lì penetra inevitabilmente nelle vite di ognuno.

E allora ogni volta dalle 18 rinasciamo un po’, oppure perdiamo un po’ di noi stessi, dipende dalle notizie che arrivano. L’ansia del contagio sale di pari passo con l’aumento dei casi, ma forse se usassimo un po’ più di quella razionalità che è insita nel dna dei numeri e della matematica troveremmo un equilibrio migliore. Le 18 resterebbero solo le 18, ma sarebbe solo un tempo intermedio nel processo di guarigione nostro e del Paese.

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